C’è ancora molto consenso intorno all’oscuramento (rectius: all’inibizione per IP) del sito di “orgoglio pedofilo”. La raccolta di firme organizzata da E-Polis ha avuto un successo che, forse, neppure i promotori si aspettavano. Soprattutto, è riuscita a convincere il Ministro Gentiloni ad attivare, sembrerebbe per la prima volta, le procedure previste dal decreto che porta il suo nome. Soddisfazione e ringraziamenti alla Polizia Postale.
Successivamente, il Vice Presidente della Camera, Giorgia Meloni, ha chiesto la stessa cosa per un altro sito. Addirittura, in attesa di un intervento dell’Autorità, si è appellata all’iniziativa privata. Tutto come se fosse la cosa più normale, più giusta, più legale per combattere i possibili effetti della cd. “pedofilia culturale”.
Infine, negli ultimi giorni si è avuta notizia che l’on. Luca Volontè ha domandato l’inibizione per il sito del gioco “Operazione: Pretofilia” anche perché il gioco stesso, comunque ritenuto provocatorio e offensivo, comprenderebbe scene pedofile. Neppure realmente “virtuali”, secondo i creatori del gioco, anzi a bassissima risoluzione e con protagonisti stilizzati. E sembra che la richiesta sia stata inoltrata. Ma, almeno, questa volta ci sarà pur un giudice a Catania!
Malgrado queste istanze, da molte parti, però, si è parla senza mezzi termini di censura. Ecco un esempio . Ci si esprime in termini generali e astratti, beninteso, e non per difendere la pedofilia, quanto per stigmatizzare un presunto arbitrio. Timori, per la verità, già emersi all’indomani della pubblicazione del Decreto Gentiloni. Veggenza? Paranoia?
Dal canto mio vorrei occuparmi degli aspetti più strettamente giuridici cercando di dare una risposta a chi, comprensibilmente, nutre dei dubbi. Siamo certi che, al di là del fine istituzionale che non è qui in discussione, sia tutto perfettamente legale? Vado subito alle conclusioni, poi argomento. La mia opinione, dando per scontata la validità di certe premesse (cioè che sui siti non sia presente materiale pedopornografico), è no.
Il citato decreto Gentiloni riguarda la pedopornografia, non la pedofilia.
Sul punto non c’è alcun dubbio e, tra le righe, lo ammette lo stesso Ministro. Si tratta di una norma conseguente la creazione del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia per effetto dell’art. 14-bis della legge 269/98 (come modificata l’anno scorso). Dunque, riguarda il filtraggio dei soli siti di pedopornografia, giova sottolinearlo.
Relativamente al caso del gioco online occorre aggiungere una riflessione. Lasciando da parte le denunciate provocazioni e offese, il software, come detto, comprenderebbe scene di carattere pedofilo. Dunque, apparentemente, la procedura di filtraggio sarebbe applicabile. In realtà non è così.
Con la legge 38/2006, la pedopornografia “virtuale” è punita come quella “reale”, pur con uno sconto di pena. Ma cosa si intende per pedopornografia “virtuale”? Lo spiega, molto chiaramente, proprio l’art. 600-quater.1 c.p. introdotto dalla predetta legge: “Immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse”.
Non vera “virtualità”, dunque, ma “fotomontaggi” che utilizzano parti reali e non soltanto realistiche.
L’anno scorso sono stati presentati due disegni di legge volti a contrastare la cd. “pedofilia e pedopornografia culturale”: al Senato e alla Camera . Attualmente, certe tesi sono mere “opinioni”, domani potrebbero diventare reati.
Ma, appunto, oggi non possiamo fare i conti con una legge che verrà, forse. Tanto meno possiamo sollecitare l’intervento di “cracker buoni” in assenza di un provvedimento dell’Autorità fondato sulla legge.
Oggi dobbiamo confrontarci soltanto con il diritto vigente ed esigere che sia applicato da chi di competenza. Certe imbarazzanti contraddittorietà svelano la realtà: nel primo caso, certamente non pedopornografico, si fa ricorso al decreto Gentiloni; nel terzo, con qualche (infondato) dubbio, si segnala il tutto alla magistratura.
Constatare che la legge, nel primo caso, è stata violata dallo Stato è molto triste, qualunque siano le motivazioni.
La legalità non può morire così.
avv. Daniele Minotti
www.minotti.net