USA, taggare non richiede consenso

USA, taggare non richiede consenso

Delle foto presenti su Facebook sono state utilizzate come prove in un processo di affidamento di un minore. La Corte ha dichiarato che nessun riferimento esplicito richiede il consenso per taggare le foto o per condividerle
Delle foto presenti su Facebook sono state utilizzate come prove in un processo di affidamento di un minore. La Corte ha dichiarato che nessun riferimento esplicito richiede il consenso per taggare le foto o per condividerle

Contrariamente a quanto accade in Europa, dove è possibile fare leva su alcune norme che tutelano la privacy per chiedere a qualcuno di cancellare una foto o un tag, negli Stati Uniti, salvo alcune circostanze entro le quali si può richiedere la rimozione, accade diversamente.
Proprio recentemente all’attenzione di una Corte statunitense si è presentato un caso nel quale si sarebbe dovuto decidere della custodia di un minore a seguito di una separazione dei genitori, un caso che ha interessato i social network, che hanno fornito prove valide al giudice chiamato a vagliare la situazione e a concedere l’affidamento della bambina.

In particolare, il padre della bambina aveva presentato in aula alcune foto reperite da Facebook che ritraevano la sua ex moglie mentre beveva alcolici. La situazione raffigurata, inoltre, si complicava ulteriormente dato che l’assunzione di sostanza alcoliche interferiva, come anche sostenuto da uno psicologo in aula, con i farmaci che la donna prendeva da tempo per un disturbo della personalità. La donna ha tentato in tutti i modi, invano, di non far entrare nel fascicolo delle prove tale foto incriminata nella quale lei risultava taggata.

A tal riguardo la donna ha sostenuto che lei non aveva dato nessun consenso affinché tale foto comparisse nella sua pagina Facebook . “Chiunque – ha argomentato la donna – può caricare foto e taggarle con il nome della persona raffigurata, senza che venga chiesto nessun permesso per procedere o consenso per identificarla pubblicamente”. Per tale ragione, stando a quanto sostenuto dalla donna, non solo tali foto non avrebbero dovuto essere pubblicate ma non avrebbero dovuto neanche essere utilizzate come prove. La donna ha inoltre argomentato che con l’avvento delle moderne tecniche digitali le fotografie possono essere facilmente modificate e le indicazioni di ora e data associate a queste ultime creano anche dubbi in merito a quando esse sono state scattate.

Contrariamente, il giudice ha respinto le obiezioni della madre a tal proposito ritenendo che le foto possono essere considerate come prova. “Non c’è nulla di scritto all’interno della legge prevede che venga richiesto un permesso quando qualcuno scatta una foto o condivide una foto o dei messaggi su una pagina Facebook”. Inoltre, non vi è nulla di scritto che obbliga a richiedere il permesso del soggetto raffigurato per taggare le foto e dunque identificarlo pubblicamente.

Nel caso in questione il giudice ha inoltre precisato che, se anche si desse per valido l’assunto che le moderne tecniche di fotografia digitale possano consentire l’alterazione di una immagine, la madre non ha dichiarato che tali tecniche siano state impiegate, dunque che la foto che la raffigura sia il risultato di un’abile operazione di modifiche della foto originale. Per tale motivo, le fotografie possono essere considerate delle prove.

L’affidamento della bambina è stato concesso al padre. La donna, a seguito della decisione, ha dichiarato che il tribunale competente e le norme della determinazione di affidamento del bambino previste dalla legge non sarebbero state rispettate e che tale decisione è stata in parte basata su prove impropriamente ammesse come tali.

Raffaella Gargiulo

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Pubblicato il
18 mar 2011
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