Il vantaggio competitivo dell’intelligenza artificiale di Google, secondo un suo dirigente di punta, è che ci conosce meglio di quanto noi vorremmo. Sa cosa leggiamo nelle email, quali foto scattiamo, dove andiamo, cosa cerchiamo a tarda notte quando non riusciamo a dormire. E usa tutta questa conoscenza per offrire risposte “personalizzate” che dovrebbero essere utili.
Una delle fonti principali di questa conoscenza? Gmail, naturalmente. Sì, Gemini legge la nostra posta, in forma anonima e aggregata, assicura l’azienda, per offrire risposte migliori.
Perché Gemini di Google è così efficace: accede a Gmail, foto e posizione
L’idea di Google è semplice, tutto sommato. L’intelligenza artificiale può imparare dalle nostre interazioni con i vari servizi Google, assorbire informazioni su gusti, preferenze, abitudini, e poi usare quella conoscenza per dare consigli più mirati. Se scopre che amiamo certi prodotti o marchi, inizierà a evidenziarli nelle sue raccomandazioni invece di mostrare una lista generica dei bestseller.
Questa è la visione di Big G, costruire qualcosa che possa essere davvero informato su di noi, in modo specifico. Un’AI che non è solo intelligente, ma che ci conosce intimamente, che sa cosa ci piace prima ancora che lo chiediamo.
Gemini è già integrato in Gmail, Calendar, Drive, e può accedere alle nostre foto, alla cronologia delle posizioni, al comportamento di navigazione. È ovunque nell’ecosistema Google, e sta diventando sempre più centrale. Google ha anche iniziato a inserire dati personali in Gemini Deep Research, spingendo ancora più in là l’integrazione tra la nostra vita digitale e l’intelligenza artificiale.
È sorveglianza mascherata da servizio?
Man mano che Google inietta sempre più dati personali nella sua AI, il confine tra assistente utile e grande fratello digitale diventa sempre più labile. E a differenza dei servizi opt-in, dove siamo noi a decidere cosa condividere, evitare la raccolta dati di Google diventerà sempre più difficile.
Consapevole del problema, Google promette che specificherà quando le risposte dell’AI sono personalizzate. Il che è meglio di niente, ma non risolve il problema di fondo, Google sta comunque raccogliendo ed elaborando quantità enormi di dati personali, e ora li sta usando per alimentare un’intelligenza artificiale sempre più sofisticata.
Il dirigente Robby Stein di Google Search ha anche lasciato intendere che Google potrebbe inviare notifiche push quando un prodotto che si stava considerando dopo giorni di ricerca diventa disponibile o va in offerta. Certamente può essere utile, ma a tratti è anche inquietante, perché significa che Google sta tracciando attivamente cosa si guarda, per quanto tempo, quanto seriamente si sta considerando un acquisto.
La privacy nell’era dell’AI totale
Google permette di controllare quali app Gemini può usare per essere più informato sul proprio conto in modo specifico. Si trova nella sezione “App connesse” nelle impostazioni di Gemini. E se si condivide quei dati, Google li salverà e li userà in conformità con l’informativa sulla privacy di Gemini.
Quella stessa informativa che ricorda che alcuni dei propri dati potrebbero essere letti da revisori umani. Sì, persone reali che potrebbero vedere le proprie email, i propri documenti, le proprie ricerche. Google consiglia esplicitamente di non inserire informazioni riservate.
La domanda, quindi, sorge spontanea: Se non dovremmo inserire informazioni riservate, cosa dovremmo inserire? Perché la maggior parte delle cose che facciamo online contengono, in un modo o nell’altro, informazioni che preferiremmo rimanessero private. E se Gemini deve conoscerci “in modo specifico” per essere davvero utile, come facciamo a tracciare quella linea?