Adobe sta vivendo uno strano paradosso: da un lato annuncia un fatturato record e profitti in crescita grazie all’intelligenza artificiale, dall’altro le sue azioni sono crollate del 37% quest’anno. Ma l’azienda insiste che va tutto benissimo, grazie soprattutto all’AI che ha piazzato in tutte le sue app creative.
Il fatturato annuale di Adobe ha raggiunto i 23,77 miliardi di dollari nel 2025, con un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente.
Profitti record per Adobe grazie all’AI
Negli ultimi due anni Adobe ha scommesso forte sull’intelligenza artificiale, lanciando Firefly, la propria famiglia di modelli generativi per immagini, video e audio integrati nelle app creative e nelle soluzioni di marketing. Secondo il rapporto sugli utili, l’ARR (ricavi ricorrenti annuali) influenzato dall’AI rappresenta ora più di un terzo dell’attività complessiva di Adobe.
Un terzo è una fetta sostanziosa, il tipo di numero che fa brillare gli occhi degli investitori durante le conference call. Ma questo entusiasmo per l’AI è sostenibile a lungo termine, o è solo l’ultima moda che tutti vogliono cavalcare prima che passi?
L’obiettivo di Adobe è aumentare l’ARR del 10,2% nel 2026 migliorando le sue piattaforme di AI generativa e agentiche, e ampliare la base di clienti. Il CEO dell’azienda celebra anche le partnership e l’integrazione con AWS, Azure, Google Gemini, HUMAIN, Microsoft Copilot, OpenAI e altri player del settore.
Ma c’è anche un’altra possibile lettura della strategia di Adobe: se non riesce a competere alla pari con i grandi dell’AI generativa, allora punta a diventare indispensabile integrandosi con tutti.
Midjourney, OpenAI, Runway e altri stanno creando strumenti che permettono di generare immagini, video e contenuti creativi senza bisogno del complesso ecosistema di Adobe. La risposta dell’azienda? Integrarsi con tutti questi player, offrire i propri modelli Firefly come alternativa “etica” (addestrata su contenuti che rispettano il copyright, sostengono), e sperare che la fedeltà al brand e l’ecosistema consolidato mantengano i clienti professionali attaccati a Photoshop, Illustrator e Premiere Pro.
Il crollo delle azioni: quando Wall Street non ci crede
Eppure, nonostante tutti questi numeri positivi e proclami di successo, le azioni di Adobe sono scese di oltre il 37% quest’anno al momento della stesura dell’articolo. È un calo significativo che suggerisce che gli investitori non sono completamente convinti dalla narrativa ottimistica dell’azienda.
Le ragioni potrebbero essere diverse: preoccupazioni sulla sostenibilità della crescita basata sull’AI, timori sulla concorrenza sempre più agguerrita, dubbi sulla capacità di Adobe di mantenere il suo vantaggio competitivo in un mercato che cambia rapidamente. O forse semplicemente Wall Street sta guardando oltre i numeri trimestrali e si chiede cosa succederà quando l’entusiasmo per l’intelligenza artificiale si raffredderà e le aziende inizieranno a tagliare i costi degli abbonamenti software.
Dopotutto, Adobe è nota per aver trasformato i suoi prodotti da acquisti una tantum a costosi abbonamenti mensili, una mossa che ha generato ricavi stabili ma anche malcontento tra gli utenti. Aggiungere funzionalità AI a questi abbonamenti è un modo per giustificare i prezzi crescenti, ma funziona solo finché le persone percepiscono un valore reale in quelle funzionalità.
I risultati finanziari suggeriscono che la strategia sta funzionando, almeno per ora. Ma il divario tra profitti in crescita e azioni in calo racconta una storia più complessa di quanto i comunicati stampa vogliano ammettere. E poi c’è una buona parte di utenti che continua a chiedersi se tutto questo progresso tecnologico stia davvero migliorando il loro lavoro o sia una minaccia alla loro professione, uno strumento che svaluta le competenze che hanno impiegato anni a sviluppare.