BSA: occhio, quei font non sono free

BSA: occhio, quei font non sono free

La prossima tappa per la messa in regola delle imprese passa per i caratteri tipografici. Troppo spesso, spiegano i produttori di software proprietario, i font vengono utilizzati in modo illecito
La prossima tappa per la messa in regola delle imprese passa per i caratteri tipografici. Troppo spesso, spiegano i produttori di software proprietario, i font vengono utilizzati in modo illecito

Forse non tutti sanno che il termine font deriva dal francese fonte , termine usato nel Medioevo per indicare i blocchetti di metallo modellati per stampare i caratteri su carta. Oggi con font si fa riferimento alle librerie di caratteri che albergano nei PC: e BSA fa sapere che, dopo aver provveduto a mettere in regola i computer per quanto attiene il software, gli IT manager dovrebbero fare attenzione anche a queste ultime. Il rischio è ritrovarsi nei guai, giuridici ed economici, quando “basta poco” per rispettare la legge.

certi font “La nostra esperienza dimostra che, in generale, le aziende non sono consapevoli di utilizzare font che richiedono una licenza d’uso” spiega il presidente di BSA Italia, Luca Marinelli , in una nota: “L’ignoranza o una gestione carente dei font sono spesso le ragioni per le quali molte aziende si trovano a infrangere la legge. (…) Non pagare i font, esattamente come accade per le altre tipologie di software, priva il titolare della proprietà intellettuale di un legittimo guadagno, oltre a danneggiare il settore dei new media per il quale lo sviluppo dei caratteri gioca un ruolo cruciale”.

La gestione della questione font non è poi molto diversa da quella della gestione del software: anche in questo caso esistono delle licenze d’uso , che stabiliscono come e dove si possano utilizzare determinati caratteri. Non rispettando queste regole, “sia che si tratti di un fatto intenzionale oppure accidentale – spiega BSA – l’uso di font privi di licenza espone le aziende alla violazione dei copyright, con la possibilità di incorrere in gravi sanzioni quali il ritiro della linea di prodotti oggetto della violazione, il danno alla reputazione e onerose cause legali”.

Per illustrare i rischi che corrono le imprese che si macchiano del reato di appropriazione indebita di carattere, BSA ricorre a due esempi. Quello dell’editore olandese, Aristo Uitgeverij, che ha dovuto sborsare oltre 40mila euro in un colpo solo per sistemare le pendenze della sua libreria di font comprendente oltre 5000 tipologie di carattere , di cui solo un migliaio regolarmente licenziate. E poi c’è quello di Campden Publishing che, certa di utilizzare un unico font per tutta la sua produzione, ha poi scoperto di avere in ballo oltre 11mila tipologie di carattere diverse per un corrispettivo economico di quasi 100mila euro .

BSA comunque non vuole abbandonare editori e imprese tra i marosi della gestione dei font. Grazie alla sua rete collaborativa con le aziende associate, ha messo in piedi delle procedure per affrontare il problema, trasformate in best practice e inserite in una guida disponibile in nove lingue da dispensare a chiunque ne faccia richiesta: “In considerazione dell’importanza dei typeface per l’identità e il brand – chiarisce BSA – ogni azienda dovrebbe preoccuparsi del modo in cui i font vengono acquisiti e gestiti”.

Il rischio, fanno sapere, è che, se non si riconoscono i diritti ai creativi che stanno dietro le migliaia di caratteri che albergano nei PC, questi ultimi finiranno per non avere più interesse a sviluppare nuovi prodotti : “La sensibilizzazione è fondamentale per eliminare questa forma persistente di pirateria del software – sentenzia Bill Hill , responsabile del settore font per Microsoft – Per quanto possa essere considerato innocuo, si tratta di un fenomeno che impone che la proprietà intellettuale relativa ai font venga tutelata adeguatamente se si vuole che il settore continui a fornire il proprio contributo alla crescita dell’economia”.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
3 set 2008
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