CES2010/ L'eterna lotta del musichiere

CES2010/ L'eterna lotta del musichiere

Ovvero come la musica influenza le abitudini del fruitore e viceversa. Faccia a faccia tra gli addetti ai lavori a Las Vegas, per fare il punto della situazione: che non è rosea, ma che in futuro potrebbe diventarlo. Per tutti
Ovvero come la musica influenza le abitudini del fruitore e viceversa. Faccia a faccia tra gli addetti ai lavori a Las Vegas, per fare il punto della situazione: che non è rosea, ma che in futuro potrebbe diventarlo. Per tutti

Las Vegas – Il problema è: come si fa a garantire un’esperienza qualitativamente valida agli utenti? Più che una questione di modello di business, sembra una questione di testa: secondo gli addetti ai lavori, per riuscire a trasformare il mercato digitale dei contenuti nella vera fonte di guadagni futura dell’industria di settore, occorre far comprendere ai consumatori quello che viene offerto , in relazione alle loro esigenze. Ma non sempre si tratta di un compito facile: e non basta una tavola rotonda al CES per risolvere la questione.

Prendiamo il caso di Comes With Music , ovvero l’offerta Nokia “all you can eat”: sulla carta accattivante e in assoluto rispondente alle esigenze dei consumatori, ma nella realtà (fatta eccezione per un paio di casi, Australia e Singapore su tutti) non un’iniziativa coronata da successo universale. Non, per lo meno, ammantata dello stesso appeal di altre esperienze (qualcuno ha detto iTunes?). Eppure, per Adam Mirabella di Nokia, le premesse sono buone: “Le major sono interessate a questi nuovi modelli, e investono e credono nel loro successo” sostiene il responsabile del progetto musicale dell’azienda finlandese. Non a caso, nel suo passato ci sono appunto anni di “militanza” tra le quattro sorelle: e l’approccio seguito da Nokia tende inoltre a coinvolgere anche gli operatori telefonici.

Il problema, aggiunge Mirabella, è che il compito è meno semplice di quanto potrebbe sembrare: ci sono da coniugare in una sola alchimia le esigenze di codec differenti per differenti device, DRM (se presente), chi preferisce lo streaming al download, senza contare il crescente numero di sistemi operativi (Android, Symbian, iPhone OS ecc) che ci sono in circolazione. L’ecosistema è enorme, e dunque occorre trovare un difficile equilibrio: “È più semplice realizzare qualcosa che funzioni piuttosto che qualcosa che sappia eccellere” ironizza il CEO di Omnifone Rob Lewis , stigmatizzando e al contempo giustificando lo scarso appeal che talune offerte delle major hanno avuto fino a oggi rispetto alle richieste del pubblico.

A volte, poi, alcune novità sono cascate tra capo e collo dei detentori dei diritti: “Chi avrebbe immaginato che chiunque con un iPhone avrebbe speso una media di sessanta dollari all’anno per delle applicazioni?”. E così, tra inciampi e incomprensioni, si arriva al paradosso di far pagare due servizi identici l’uno il triplo dell’altro : lo racconta col sorriso sulle labbra Brad Duea, ovvero il presidente di quella Napster che oggi porta il marchio che un tempo era il nemico numero uno delle etichette. E che si muove tra il sollievo di aver individuato nella propria offerta un prodotto interessante per i consumatori, e la necessità di fare i conti con le bizze delle major che pretendono 15 dollari invece che 5 al mese per offrire lo stesso servizio su piattaforme diverse.

Il problema è, e lo ripetono in molti, che seppure in futuro il mercato sarà fatto di media digitali, oggi la stragrande maggioranza dei consumatori non conosce, non utilizza, non è interessato a questo tipo di offerte : la maggior parte della musica, e parliamo del 90 per cento in Europa e dell’80 negli USA, ironicamente si consuma ancora attraverso le autoradio o gli impianti domestici tradizionali, ed è proprio questa sfida quella da affrontare per cambiare faccia a questo settore. Ci sono milioni di potenziali consumatori digitali che non hanno la banda larga, che non hanno la carta di credito: a tutti questi bisognerà pur trovare il modo di arrivare, ma per farlo occorre rivolgersi a dispositivi e a mezzi differenti da quelli fino a oggi scandagliati. Una volta raggiunta la massa critica, la cosiddetta “coda lunga” potrebbe anche garantire la discesa dei prezzi.

Sì, insomma, bisogna investire. Lo ripete pure il co-presidente di Internet Innovation Alliance (IIA) David Sutphen , che a margine della sessione dedicata a il mobile e le sue implicazioni per l’industria dei contenuti ha spiegato a Punto Informatico che forse non è troppo tardi: “Non siamo ancora arrivati al punto cruciale di un certo cammino, non è ancora arrivati il momento in cui il mercato cambia per diventare solo digitale: c’è ancora una infrastruttura da creare, banda larga da portare dove oggi non arriva”. Insomma, bisogna investire prima di regolamentare: e anche se le intenzioni di chi è coinvolto in questo cambiamento sono buone, pare che prima di trovare un compromesso accettabile tra le aspirazioni (anche economiche) delle major e dei detentori dei diritti, e quelle dei consumatori, ci vorrà ancora un bel po’. E nessuno pare disposto a cedere.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
7 gen 2010
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