Contrappunti/ L'indignazione è compresa nel prezzo

Contrappunti/ L'indignazione è compresa nel prezzo

di M. Mantellini - Basta un clic alla leggera per combinare un pasticcio all'ufficio marketing. E basta un clic al consumatore per castigare l'azienda. Basterà? Il moralismo al tempo di Internet
di M. Mantellini - Basta un clic alla leggera per combinare un pasticcio all'ufficio marketing. E basta un clic al consumatore per castigare l'azienda. Basterà? Il moralismo al tempo di Internet

Utilizzare gli strumenti di rete sociale attualmente disponibili è discretamente semplice per le persone e invece assai complicato per le aziende. I cosiddetti social media – a differenza dei meccanismi di relazione aziendali usati in passato – riducono distanze, moltiplicano umanità, accelerano la comunicazione. Ma sono contemporaneamente bestioline da maneggiare con cura: richiedono sangue freddo, familiarità con una grammatica comunicativa che in genere le aziende non posseggono, sono da presidiare continuamente, inoltre sono spesso molto poco significativi in termini di impegno economico (un paio di stagisti di fronte ad un computer sono sufficienti anche nel caso di grandi compagnie) ed anche poco considerati in termini di peso aziendale.

Questo almeno fino al momento in cui non capita il fattaccio che è capace in poche ore di mettere in seria difficoltà la comunicazione istituzionale anche di una grande azienda. Le emergenze comunicative sui social media sono in genere eventi piccoli, poco prevedibili e difficili da ricomporre: la settimana scorsa per esempio un marchio di moda fiorentino Patrizia Pepe si è trovato di fronte la marea montante delle critiche su Facebook legate ad una semplice foto pubblicitaria che, secondo alcuni commentatori, strizzava l’occhio all’anoressia. La risposta piccata di chi gestiva il profilo dell’azienda ha fatto da detonatore, e nel giro di poche ore una semplice conversazione dai toni accesi si è trasformata in un caso mediatico.

Improvvisazione e sottovalutazione dei meccanismi di Rete sono atteggiamenti piuttosto frequenti, in grado talvolta di mettere a rischio l’intera comunicazione aziendale: lo sa bene il proprietario di John Ashfield , altro marchio di moda dai richiami anglosassoni ma dalla partita IVA italianissima, che si è trovato mesi fa nella medesima situazione di Patrizia Pepe . E casi del genere accadono ormai con frequenza crescente.

Ma accanto alle carenze ed alle sempre possibili sottovalutazioni delle aziende alle prese con Internet, volendo essere onesti occorre anche sottolineare come in simili dinamiche abbia un ruolo anche l’esistenza di una sorta di altra forza sotterranea in trepida attesa. Errare è umano, ma su Internet è meno umano che altrove. Specie se sei una azienda.

Così una battuta sfortunata o anche francamente inopportuna sfuggita al gestore di un profilo aziendale trova immediatamente il proprio castigatore. È accaduto, sempre nel corso della scorsa settimana, al profilo Friendfeed dell’operatore telefonico Tre . Battuta cretina (poi rapidamente cancellata) di stampo anticlericale, seguita da una gigantesca operazione di analisi, riproposizione e sottolineatura da parte degli utenti scandalizzati. Perché le aziende devono essere “umane” sui social media ma senza esagerare: i loro gestori devono essere piccoli soldatini perfetti, dediti contemporaneamente al brand aziendale e ad uno stile comunicativo il più colloquiale ed amichevole possibile.

L’accanimento dei numerosi controllori è una delle derive classiche della comunicazione di Rete: se poi ad essere colte in fallo sono le aziende, per causa dei loro rappresentanti umani e fallaci dentro la rete delle reti, meglio ancora. E la caccia alle streghe 2.0 vale sempre ed è in grado di spazzare via in pochi colpi qualsiasi reputazione, anche la più solida. Qualche giorno fa Stefano Quintarelli , notissimo e stimato esperto di Rete (e mio caro amico, ndA), da poco nominato responsabile dell’area digitale del Gruppo Sole24ore, ha pubblicato sul suo blog un lungo post molto interessante ma dal titolo francamente sfortunato. Capita.

Nel giro di 24 ore, il tempo necessario perché Quintarelli si rendesse conto dell’accaduto e cambiasse il titolo con mille scuse, si erano rovesciate su di lui e sul gruppo editoriale di Confindustria gli strali di decine di irreprensibili moralisti. Il passaparola dell’indignazione è del resto il più veloce fra quelli oggi possibili in Rete e il piccolo infortunio di Quintarelli si è guadagnato numerosi palcoscenici di Rete certamente non desiderati, articoli su siti web di tecnologia e perfino un pezzo sulla versione cartacea de Il Fatto Quotidiano .

Negli ultimi mesi in Francia ha venduto milioni di copie un breve libretto di Stéfane Hessel intitolato “Indignatevi”. Se vi va di leggerlo è stato da poco tradotto anche in italiano, si tratta di un testo molto bello ed istruttivo. L’anziano diplomatico ex-partigiano invita i giovani ad indignarsi, a scendere in piazza per lottare per un mondo migliore. Ma i tempi della repubblica di Vichy sono oggi molto lontani e l’indignazione che nasce e si diffonde rapidamente in rete non è tutta buona come quella suggerita da Hessel. Non sempre.

Fermarsi un momento a ragionare sta diventando una prassi in disuso. Molto più rapido e liberatorio marcare il territorio immediatamente con le nostre certezze maturate nell’ultima decina di secondi. Del resto gli strumenti a nostra disposizione lo consentono e sembrano chiedercelo. E poi via, veloci e collegati, verso nuove incredibili e superficialissime avventure.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 18 apr 2011
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