ENPA (European Newspaper Publishers’ Association) e EMMA (European Magazine Media Association) hanno pubblicato un comunicato stampa congiunto per sottolineare la legittimità del modello “Consent or Pay” adottato da molti siti di informazione. Le due associazioni che rappresentano gli editori europei di quotidiani e riviste esprimono quindi preoccupazione per la consultazione pubblica avviata dal Garante della privacy italiano all’inizio di maggio.
Il modello è legale secondo la CGUE
Molti siti web (anche in Italia) chiedono al visitatore di accettare il tracciamento a scopo pubblicitario tramite cookie per accedere gratuitamente ai contenuti. In alternativa è possibile sottoscrivere un abbonamento. Questo modello è noto come “Pay or Consent”, “Pay or Ok“ o “Consent paywall”. Secondo ENPA e EMMA, il modello è legale perché rispetta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE).
Le due associazioni evidenziano che il settore della stampa è minacciato dai gatekeeper digitali e dallo sfruttamento dei contenuti da parte delle aziende AI. Considerato il calo delle vendite dei quotidiani e delle riviste cartacee, molti editori hanno scelto modelli di business digitali. Sono quindi indispensabili le entrate da abbonamenti e pubblicità.
Il modello “Consent or Pay” permette agli utenti di scegliere se contribuire al finanziamento dei contenuti editoriali tramite consenso alla pubblicità personalizzata o un abbonamento. Secondo ENPA e EMMA, tale modello rispetta il GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati), per cui è una soluzione legittima per monetizzare i contenuti.
Le due associazioni esprimono preoccupazione per la consultazione avviata dal Garante della privacy italiano, in quanto qualsiasi divieto o restrizione, tra cui l’obbligo di fornire un’alternativa che non prevede né abbonamento né uso dei dati, sarebbe in contrasto con la sentenza della CGUE e avrebbe “gravi conseguenze economiche” per gli editori.
ENPA e EMMA sottolineano infine che la recente sanzione inflitta dalla Commissione europea a Meta non deve essere presa come riferimento (viene citata nel provvedimento del Garante della privacy) perché è basata sul Digital Markets Act e non sul GDPR.