Evoluzione genetica per le emoticon

Evoluzione genetica per le emoticon

La trovata di un ex-universitario ora in forza a Google Inc. potrebbe rappresentare l'anello mancante tra le tradizionali faccine e i più complessi avatar grafici. Idea non nuova, ma la realizzazione è intrigante
La trovata di un ex-universitario ora in forza a Google Inc. potrebbe rappresentare l'anello mancante tra le tradizionali faccine e i più complessi avatar grafici. Idea non nuova, ma la realizzazione è intrigante

Mountain View – Gli smiley , le icone multicolore la cui invenzione – datata 1963 – è attribuita all’artista freelance Harvey Ball , potrebbero presto raggiungere il capolinea: nuovi ritrovati, tecnologicamente avanzati e pensati per essere tanto comunicativi quanto semplici da utilizzare alla stessa stregua delle faccine gialle, escono dai campus universitari e minacciano di invadere l’universo dell’instant messaging e della comunicazione informale sui dispositivi più disparati.

Per quanto nel corso del tempo gli smiley siano stati affiancati da avatar animati, renderizzati e virtualizzati in formato flash, le emoticon continuano tutt’ora a svolgere una funzione fondamentale nell’ambito della comunicazione telematica : semplici – giusto il tempo di scrivere due punti-parentesi – veloci e ideali nel messaging a basso bitrate , rimangono il punto di riferimento per la rappresentazione, stringata ma efficace, dei propri stati d’animo in relazione al testo del messaggio.

Ed è proprio pensando alla stessa semplicità, praticità e velocità di applicazione che Xin Li ha cominciato anni addietro a sviluppare il progetto Face Alive Icons . Xin, che ora lavora per BigG, ha iniziato il suo studio in collaborazione con il professor Shi-Kuo Chang quando ancora frequentava l’Università di Pittsburgh, assieme a Chieh-Chih Chang dell’Industrial Technology Research Institute di Taiwan.

Un volto, molte espressioni Face Alive Icons si basa su un modello computazionale con capacità da sistema esperto, in grado di rappresentare le distorsioni delle parti chiave di un volto di cui è stata precedentemente inviata una copia “neutra” al nostro contatto. Per dirla in altri termini: in un ipotetico sparamessaggini “motorizzato” con FAI, basterà digitare il classico simbolo di un faccino sorridente:) per far si che l’algoritmo matematico sottostante, in maniera del tutto automatica, traduca quel simbolo nel volto reale dell’utente con su un bel sorriso .

Al contatto viene inviata una sola immagine registrata in precedenza, possibilmente con la più neutra delle espressioni. Assieme ad essa viene salvato un profilo con indicate le parti “attive” selezionate dal “proprietario” della faccia, che aiutano il programma a distorcere opportunamente il tutto per ottenere la rappresentazione dello stato desiderato.

Per sviluppare l’algoritmo proprietario su cui si basa l’engine crea-facce, Xin e i suoi collaboratori hanno prima realizzato un modello computazionale generico per ogni tipo di espressione. Hanno poi applicato tale modello base ad un sistema esperto che ha analizzato un database di volti manifestanti ira, felicità, tristezza, disgusto e via di questo passo, per giungere infine alla “consapevolezza” digitale delle caratteristiche proprie di ogni stato d’animo , o meglio della sua relativa espressione.

Un’applicazione che offre il vantaggio della leggerezza (occorre infatti trasferire una sola volta l’immagine assieme al profilo), e che permette, sostiene l’autore, di aggiungere un numero virtualmente illimitato di espressioni senza la necessità appunto di inviare in continuazione la nuova immagine, ma realizzando l’avatar-icona “viva” in tempo reale.

Per ora, i risultati del progetto Face Alive Icons sono stati implementati in un programma di e-learning , grazie al quale i professori possono osservare in maniera meno virtuale i propri studenti. Il fatto che ora Xin Li lavori per una società user-oriented come Google potrebbe ad ogni modo far pensare a possibili nuovi utilizzi, magari in un ambito non necessariamente così serioso ancorché importante come l’insegnamento a distanza.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 5 apr 2007
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