Google, blogger nazionalizzati

Google, blogger nazionalizzati

La Grande G offre le stesse motivazioni del cambiamento adottato da Twitter. Una questione di censura, di male minore o di semplice rispetto delle leggi locali?
La Grande G offre le stesse motivazioni del cambiamento adottato da Twitter. Una questione di censura, di male minore o di semplice rispetto delle leggi locali?

Google ha annunciato l’introduzione di nuovi strumenti che le permetteranno di bloccare contenuti di blog ospitati dalla sua piattaforma blogger solo nei Paesi in cui essi vengono legittimamente sanzionati .

In realtà si tratta di una novità introdotta già da qualche settimana, ma che non era stata pubblicizzata da Google, come ha invece fatto Twitter: l’effetto percepito da alcuni osservatori è che Mountain View abbia seguito la stessa strada recentemente imboccata dal tecnofringuello, ma effettivamente sembra trattarsi di una tendenza comune ma indipendentemente sviluppata.

In pratica, anche Mountain View avrà ora la capacità di rimuovere un contenuto in un paese specifico, ove cioè questo fosse richiesto da normative locali: Google lo potrà fare perché inizierà a ridirigere il traffico dei blog di Blogger a URL nazionali. In qualsiasi stato ci si trovi, dunque, si accederà ai relativi domini dei blog ospitati sulla sua piattaforma di blog. Così, in caso di necessità Google potrà semplicemente bloccare un blog eventualmente sanzionato dalle autorità intervenendo sul corrispettivo indirizzo nazionale e lasciandone al contempo indenni tutte le altre versioni.

Secondo alcune fonti si tratterebbe, almeno per il momento, di una novità introdotta solo in alcuni paesi, anche se non è dato sapere quali ( si parla dell’Australia per esempio). Secondo il servizio di supporto di Google Blogger, poi, gli utenti possono superare il rinvio a livello nazionale inserendo un URL specifico “senza il rinvio nazionale”: google.com/ncr ( ncr sta per no country redirect ).

“Migrare a domini localizzati – spiega Google – ci permetterà di continuare a promuovere la libertà di espressione e le pubblicazioni in maniera responsabilizzata, fornendoci al contempo maggiore flessibilità per adempiere alle legittime richieste di rimozione di contenuti in rispetto delle normative nazionali”.

Come Twitter, dunque, anche Google sottolinea l’importanza dei nuovi strumenti rispetto alle richieste legittime di rimozione di contenuti: il tecnofringuello a tal proposito faceva l’esempio dei contenuti nazi-fascisti in alcuni paesi europei, ma si possono anche ricordare alcune forme di diffamazione o la diversità delle normative nazionali per esempio in materia di pubblicità comparativa, contraffazione e violazione di proprietà intellettuale, nonché di diritto all’oblio .

Né Twitter né Google, tuttavia, hanno specificato ulteriormente il significato di “richiesta legittima di rimozione” di contenuto: né hanno detto come risponderanno da oggi in avanti alle pressioni di paesi non democratici. Paesi, peraltro, in cui sia l’uno che l’altro hanno finora dimostrato di avere la volontà di non cedere alle autorità: basta ricordare il ruolo svolto dal tecnofringuello nella cosiddetta Primavera Araba o la presa di posizione di Moutain View nei confronti di Pechino, che in certi versi ha quasi calcato la mano della stessa diplomazia statunitense verso una posizione più netta in materia di diritti online.

Oltre alla questione generale di Internet come concetto globale e non come servizio su scala nazionale, il problema è, insomma, essenzialmente legato alle situazioni in cui un blogger si esprima, più che in violazione della legge (intesa come un istituto superiore condivisibile, frutto di un immaginario contratto sociale sottoscritto tra cittadini e istituzioni), in opposizione al governo: l’estremo di questa situazione è rappresentato da un paese con un regime autoritario e repressivo, in cui l’operato di un blogger è segnato dal pericolo per la propria incolumità personale e da una salda volontà di esprimere qualcosa di vero che possa scalfire la maschera delle verità costruite a tavolino dal potente di turno. Oppure da tutte quelle situazioni in cui il ruolo di un social medium come Twitter può essere effettivamente determinante per creare una rete di comunicazione alternativa, per far sentire al resto del mondo che c’è un’opposizione a un dato regime e per la possibilità di organizzarsi.

Non sono questi, però, gli unici casi in cui si può immagine una zona grigia di applicazione dei nuovi strumenti per cui si potrebbe pensare all’intervento di censura di Google e Twitter su richiesta delle autorità come ad una forma di collaborazionismo: è la stessa paura che spinge le proteste di questi giorni nei confronti di normative come ACTA, SOPA e, in Italia, all’emendamento Fava. Tutte misure che punterebbero a controllare i contenuti per evitare la pirateria online, ma che si teme che anche nei paesi occidentali possano essere applicate per censurare il Web e rimetterlo sotto il controllo delle autorità locali togliendolo all’anarchico ordine che finora l’ha – in un modo o nell’altro – dominato.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il 2 feb 2012
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