La Commissione Europea fa una bella tirata d’orecchie a Google. La sua colpa? Non aver rispettato appieno il famigerato Digital Markets Act, la nuova bibbia della concorrenza digitale made in Bruxelles. Ora il colosso di Mountain View rischia una sanzione, perché i suoi tentativi di mettersi in regola non hanno convinto regolatori concorrenti.
L’UE pronta a multare Google per violazione del DMA
Ma facciamo un passo indietro. Cos’ha combinato Big G per finire nella lista nera dell’UE? Tutto nasce dal sospetto che il motore di ricerca abbia giocato sporco con i suoi servizi, come Google Shopping e Google Flights, mettendoli in primo piano rispetto ai concorrenti. In pratica, se si cercava un volo o un prodotto, si trovavano subito le offerte di Google, anche se magari c’erano alternative migliori. Un po’ come se al ristorante servissero solo il vino della casa, nascondendo gli altri prodotti.
E non finisce qui. Sembra che Google abbia anche messo i bastoni tra le ruote agli sviluppatori di app, impedendo loro di pubblicizzare le offerte fuori dal Play Store. Una pratica che ha fatto storcere il naso a molti, tanto che persino Apple ha dovuto fare marcia indietro e permettere a Spotify di mostrare i prezzi degli abbonamenti esterni.
DMA, l’incubo dei gatekeeper
Ma perché Google e soci tremano davanti al DMA? Semplice: questa legge impone a Big G (ma anche a Apple, Microsoft, Meta, Amazon e ByteDance) di comportarsi bene e di non abusare del loro strapotere. Tradotto: stop ai favoritismi, alla concorrenza sleale e alle pratiche scorrette. Pena: multe da capogiro e una reputazione a pezzi.
Sia chiaro, Google non è rimasta con le mani in mano. Ha provato a cambiare il look dei risultati di ricerca e a tagliare qualche funzione sospetta. Ma il risultato non deve aver fatto fare i salti di gioia a Bruxelles. Anzi, sembra che alcuni siti di comparazione ci abbiano guadagnato, mentre compagnie aeree, hotel e piccoli commercianti ci abbiano rimesso le penne, con un calo dei clic fino al 30%.
L’UE non molla la presa
Nonostante le buone intenzioni (o presunte tali) di Google, la Commissione Europea sembra intenzionata ad andare fino in fondo. Tra qualche mese arriveranno le accuse formali, e per Big G sarà dura uscirne indenne. Ma non è l’unica sulla graticola: anche Apple e Meta rischiano grosso per aver sgarrato con il DMA.