Io, la banda larga e il telefono

Io, la banda larga e il telefono

Un lettore lancia uno sguardo satirico sulla vicenda che lo ha coinvolto dopo aver deciso di optare per un contratto full con Fastweb
Un lettore lancia uno sguardo satirico sulla vicenda che lo ha coinvolto dopo aver deciso di optare per un contratto full con Fastweb


Roma – Sono una vittima o un carnefice? Non lo so, non lo so più. Sono settimane, ormai, che mi macero nel dubbio. Quella che mesi fa pareva una strada luminosa si è man mano trasformata in un viottolo impervio, lastricato di incubi.
Sono un utente Fastweb.

Sono anche un giornalista, per mestiere mi occupo dei nuovi scenari di significato aperti dalle tecnologie. Credo fermamente nella positività del progresso e interpreto i disagi connessi con l’ottimismo del pioniere che accetta volentieri cuccetta e tenda in attesa che siano ultimati la casa e il letto di quercia. Per questo sei mesi fa ho sottoscritto con entusiasmo un abbonamento alla nuova rete superveloce che finalmente fa capire che cosa vuol dire essere wired, connessi. Pfui Isdn, addio Adsl.
Non sapevo a che cosa mi connettevo.

Oltre alla Banda Larga, ai fiumi di dati che vanno e vengono da casa mia – ho voluto l’opzione no limits : tutta internet, tutto il telefono, tutta la tv! -, ho scelto ahimé di connettermi con un popolo di fantasmi. Come nei romanzi dell’orrore, dove ti spiegano che il mostro non entrerà in casa tua se tu non gli avrai volontariamente aperto la porta (ma tu a quel punto gliel’hai aperta, perché il mostro si era dissimulato con le più aggraziate e suadenti fattezze), così è accaduto con Fastweb: gli spettri del Popolo della Rete mi sono entrati in casa e non se ne vanno più.

Fantasmi… Chi l’avrebbe detto? In Fastweb qualcuno ce n’è. Lo cerchi e non c’è, lo insegui e stringi l’aria. Cerchi di parlargli e ti risponde un’eco beffarda. Sai che esiste: vedi i buchi che costellano le nostre strade – Milano come Kabul, come Baghdad – voragini aperte e richiuse e riaperte per piazzare e spostare e verificare le Fibre Ottiche, il sistema nervoso della Rete. Un giorno ti era pure parso di vedere da vicino uno di Loro, quando hai firmato un contratto. Macché, capisci troppo tardi. Quello era soltanto un rappresentante, un posseduto.
Li ho fatti entrare. Volontariamente. E adesso sono loro schiavo.

Io, libero professionista, stimato e letto, abituato a esprimere pareri informati e autorevoli, sono uno schiavo. Poiché ho cercato di ribellarmi, la corda si è stretta sempre più attorno al mio collo di schiavo. Anche ora, mentre sto scrivendo, potrebbero farmi di tutto. Il mio potere arriva soltanto fino ai tasti del computer: oltre inizia il regno della Banda Larga, dove loro si agitano misteriosamente.
Se si ammutolisce il telefono, o il computer, ecco che arrivano, semoventi, senza ben sapere dove andare, cosa fare, e dopo alcuni movimenti meccanici scompaiono come sono giunti.

I miei numeri telefonici sono stati sostituiti. Ho ricevuto due volte la stessa bolletta, sovrapposta e gonfiata. Ho perduto la linea del fax. E’ la Banda Larga che si vendica, disseminando di piccoli e grandi ostacoli la mia vita con lei. Ero orgoglioso di essere nella prima della quattro città italiane che possono vantare la Fibra. Ero orgoglioso e ho aperto la porta.

Sono entrati, non se ne vanno. Se provo a cercarli per supplicarli è tutto inutile. Il loro centralino mi irride, sottoponendomi ad attese di mezz’ora. Poi una signorina mi ascolta paziente e quando ho finito (di solito ci metto qualche minuto, perché la vicenda è sempre più complicata) mi dice “Attenda un attimo”, dopo di che la linea cade. Da capo, altra mezz’ora di attesa. Altra signorina. Poi un tecnico. Un altro tecnico. Il responso: “Ventiquattr’ore, che dico, dodici”. Fine. Ogni volta è così. Ogni volta nulla accade. I telefoni restano posseduti, il fax tace, la bolletta incombe sempre più orribilmente enfiata.

Ho tentato di trattare con loro. La risposta è sempre la stessa, un silenzio stupito e doloroso, poi una frase compitata a mezza bocca: “Oh, ma io non sono di Fastweb. Sono anch’io un cliente Fastweb”. Lo dicono i tecnici che vengono. Lo esalano le signorine del centralino. Lo sussurrano gli esperti telefonici.

Lo ammetto, alcuni errori sono miei. Ho commesso l’atroce sbaglio di cambiare sede all’ufficio, chiedendo il trasloco dell’utenza Fastweb. Hanno detto “sì, senz’altro”, ma è successo di tutto, a cominciare da un cavo a mezz’aria, di traverso sulla facciata dell’elegante villino che ospita i miei due metri quadrati di ufficio. “La vuole o no la linea?”, ghignavano, srotolando enormi matasse incuranti delle mie timide proteste tendenti a far sì che girassero da dietro, lungo la parete invisibile. “Di lì ci vuole l’autoscala. Lei ce l’ha un’autoscala?”. Come potevo replicare? Mi sono addossato al muro e ho lasciato che finissero. “Se non va bene torneremo!”, hanno detto. Non andava bene, andava tutt’altro che bene. Ma non sono tornati. Non mi ridanno i miei numeri. Non rispondono alle telefonate (centinaia), alle mail (decine), ai fax (idem).

I miei clienti mi cercano, ma naturalmente non mi trovano: il telefono che conoscono non suona più. Mi mandano fax: inghiottiti nel nulla. I miei danni sono incalcolabili. Quelli professionali e quelli personali, poiché anche i più intimi amici al vedermi si ritraggono d’istinto.

Fossero costoro persone normali e materiate, li inseguirei, li raggiungerei, pretenderei soddisfazione. Ma che posso fare con i fantasmi? A mio rischio posso almeno gridarlo a chi mi ascolta: badate, umane genti al tristo potere della Banda Larga!

Ma in definitiva con chi devo prendermela? Sono vittima ma pure carnefice: l’ho aperta io, quella porta.
Ditemi questo, almeno. Vi prego. Sono posseduto?

Giuseppe Romano

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Pubblicato il 30 giu 2003
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