L'hardware open source ha una banca. P2P

L'hardware open source ha una banca. P2P

Investire nell'hardware aperto per guadagnare dall'hardware aperto. Due intraprendenti appassionati hanno fondato una banca apposita. I finanziatori non mancano
Investire nell'hardware aperto per guadagnare dall'hardware aperto. Due intraprendenti appassionati hanno fondato una banca apposita. I finanziatori non mancano

L’hardware open source non è certamente arrivato ai livelli di maturità propri del codice aperto, ma le iniziative di supporto continuano a crescere. Negli States, nella California settentrionale, il dinamico duo composto da Justin Huynh e Matt Stack è in procinto di applicare il principio del microcredito al finanziamento di progetti di hardware aperto , chiedendo in prestito denaro a chi già è familiare con la materia e soprattutto ha a disposizione i fondi per trasformarla in realtà concreta.

Per far arrivare sul mercato un progetto di hardware open, infatti, non basta mettere a disposizione un software su Internet o aprire una pagina di progetto su SourceForge . Nel caso specifico occorrono soprattutto soldi, e qualcuno che sia disposto a finanziare un’idea che non è necessariamente destinata a fare boom sul mercato e produrre ricavi a 10 zeri.

Nell’attuale prospettiva economica, ottenere un tale finanziamento appare un’impresa poco meno che impossibile, e da questa impossibilità sono partiti Huynh e Stack per capovolgere il paradigma della profittabilità come valore assoluto e innestare denaro prima di tutto nelle idee . CPU, lettori MP3, console per videogame, kit componibili: la Open Source Hardware Bank non disdegna nulla che possa servire a rendere ricchi gli inventori e contemporaneamente ad arricchire di risorse l’intera community open.

La banca, che al momento non ha ancora pienamente chiarito la propria identità di fronte alle organizzazioni di controllo del settore, funziona sul principio del “più costruisci, più diventa economico”. I fondi vengono spesi per ridurre i costi di sviluppo dell’hardware open source, mentre ai finanziatori viene offerto un ricavo compreso tra il 5 e il 15% con una media di sei mesi di attesa, per far sì che i progetti meno promettenti non impediscano di finanziare quelli maggiormente interessanti.

Fino a ora il numero di finanziatori conquistati dall’idea ammonta a 70, e tra questi c’è l’ex-investitore Andrew de Montille. “Ho messo i miei soldi nella banca non perché lo consideri un investimento di beneficenza – dice de Montille – al contrario, sono molto sicuro del fatto che alcuni dei progetti andranno bene al punto da essere profittevoli per gli investitori”.

De Montille, che parlando del denaro effettivamente investito non dà numeri precisi ma si limita a una definizione “a cinque cifre”, sostiene che la banca open source ha il vantaggio di offrire possibilità di investimento su progetti concreti piuttosto che sui profili eterei e inafferrabili di una qualsivoglia scatola cinese finanziaria. L’istituto, spiega inoltre de Montille, è altresì in grado di garantire un ritorno monetario maggiore “di quanto si possa trovare da qualsiasi altra parte in questa contingenza economica”.

In attesa che il foglio elettronico Calc dove Justin Huynh e Matt Stack gestiscono attualmente i finanziamenti si trasformi in un sito web per la consultazione dei progetti sin qui finanziati, i pericoli che la Open Source Bank deve affrontare sono di natura soprattutto burocratica visto lo stato semi-ufficiale dell’istituzione. Le regole finanziarie del mercato statunitense sono infatti precise, e per evitare che l’iniziativa fallisca prima ancora di spiccare il volo occorre che i responsabili trovino il giusto modo di ufficializzare la propria esistenza alle istituzioni di controllo, assumendo la forma più appropriata a supporto dell’idea originaria.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
20 mar 2009
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