Ma chi paga il boss di Napster?

Ma chi paga il boss di Napster?

di Lamberto Assenti. Viene da chiederselo, visto quello che riesce a tirar fuori: un servizio a pagamento che non solo fa piazza pulita del file-sharing ma impallidisce persino rispetto ai servizi messi in piedi dalle grandi majors
di Lamberto Assenti. Viene da chiederselo, visto quello che riesce a tirar fuori: un servizio a pagamento che non solo fa piazza pulita del file-sharing ma impallidisce persino rispetto ai servizi messi in piedi dalle grandi majors


Roma – Fumo negli occhi. Come leggere in altro modo le sparate che Napster in questi giorni ha fatto passare sui media di mezzo mondo come importanti novità per i (pochi) utenti del primo sistema di file-sharing musicale? Sono talmente grosse che viene da chiedersi chi sia quel pazzo che versa ogni mese lo stipendio al nuovo boss dell’azienda e a tutto il suo vertice. O per quale ragione Bertelsmann-BMG, che ha recuperato Napster dal fango in cui l’aveva sbattuto insieme alle consorelle della grande musica internazionale, intenda (pare) investirci sopra.

Primo dato, scontato forse ma significativo: Napster ha lavorato su una distribuzione di musica a pagamento e ha perso il file-sharing. Sebbene nella home page del sito la storiella ufficiale parli di possibilità di condivisione tra utenti, dell’originale spirito del file-sharing che Napster a suo tempo ha incarnato non è rimasto praticamente nulla. Il motivo è semplice: su quel network non possono girare materiali sgraditi, ergo musica che non sia approvata per lo scopo dalle grandi majors. Sempre che per “sharing” non si intenda “condivisione solo di certa musica in quantità limitate”.

Secondo elemento: il formato dei file. Sul nuovo network, al momento testato pare dalla bellezza di 20mila utenti, un numero che a pelle mi sembra decisamente esagerato, gira ora quasi esclusivamente musica formato proprietario “.nap”. Ma “nap” in inglese vuol dire pennichella e non c’è dubbio che chi ha tirato fuori dal cappello liso di Napster il formato.nap ha tenuto quantomeno chiusi gli occhi. La musica distribuita, infatti, potrà ora essere ascoltata esclusivamente con il player compreso nel software di Napster e solo sul computer sul quale questo è installato. A parte i soliti craccatori, c’è da chiedersi chi sia tanto furbo da pagare per subire filtri di questo tipo.

Terzo dato: i dindi. Già, perché secondo il CEO di Napster, Konrad Hilbers, ogni mese i file “condivisi” scaricabili dall’utente saranno al massimo 50 per una tariffa pari a 10 dollari. Massima simpatia per Napster, che probabilmente non ha alternative, ma sperare che ci sia qualcuno disponibile oggi a pagare 20 centesimi di dollaro per un pezzo è utopico. Soprattutto se si pensa che i servizi a pagamento già lanciati dalle majors, come RealOne o PressPlay, non solo offrono di più a meno ma consentono anche una maggiore sebbene limitata “duttilità” nelle possibilità di ascolto della musica su diversi strumenti. E se si considera la popolarità dei sistemi di file-sharing considerati illegali dalle majors anche Napster, come gli altri, appare oggi come un business difficile, forse persino improbabile.

Quarto dato: le majors. Napster tenta, malamente come si vede, di sopravvivere, ma le grandi case discografiche non intendono dargli una mano. E così capita che tra i materiali che circolano all’interno del network non si trovi la musica dei grandi produttori, vale a dire quell’enorme catalogo di cui possono disporre i competitor di Napster e che contiene la stragrande maggioranza della musica a cui sono interessati gli utenti. Non si può certo ascrivere a Napster questa assenza, contro la quale l’azienda sta lottando persino in tribunale, ma si può solo sperare che durante la sua pennichella, Hilbers abbia sognato di inserire questo ostacolo nel suo modello di business.

Da parte nostra speriamo davvero che Napster se la cavi e non mancheremo di fornirgli un obolo, quantomeno perché ha avuto il merito di provocare un elettroshock alle multinazionali della musica. Ma non credo basterà un atto di fede a salvargli il futuro.

Lamberto Assenti

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Pubblicato il
15 gen 2002
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