NoLogo/ Internet e spot, simbiosi ineluttabile?

NoLogo/ Internet e spot, simbiosi ineluttabile?

di Mafe de Baggis - La soluzione più rivoluzionaria sarebbe pagare per i servizi online che si usano. Ma la realtà web è invece plasmata dalla pubblicità e dalle scelte che utenti, e utonti, fanno. O preferiscono non fare
di Mafe de Baggis - La soluzione più rivoluzionaria sarebbe pagare per i servizi online che si usano. Ma la realtà web è invece plasmata dalla pubblicità e dalle scelte che utenti, e utonti, fanno. O preferiscono non fare

In un’interessante presentazione al Web 2.0 Expo di Berlino sui modelli di business dei media sociali Christian Leybold di BV Capital ha raccontato che MySpace da solo genera più o meno il 6% del traffico negli USA, mentre tutti i social network americani insieme raccolgono più o meno il 4% degli investimenti pubblicitari online. Una delle motivazioni è che chi frequenta ambienti digitali come MySpace, Facebook, Flickr, Flixster o Linkedin è impegnato emotivamente dalle interazioni sociali e reagisce freddamente alle suggestioni d’acquisto, abbassando le prestazioni dei banner pubblicitari. Da molti punti di vista questa è un’ottima notizia: meno pubblicità, meno intrusione, meno interruzioni.

C’è però un piccolo particolare: a differenza delle community spontanee degli anni ’80-’90, come Usenet, IRC e molte mailing list, che giravano quasi sempre su server universitari o amatoriali, la stragrande maggioranza dei contenuti e delle interazioni sociali oggi sono ospitati su piattaforme di proprietà di aziende che devono produrre un profitto per continuare a offrire il servizio che usiamo. Un newsgroup non è (e non sarà mai) un ambiente a scopo di lucro, Blogger.com sì. Un server IRC gira su un vecchio PC inutilizzato, YouTube ha una fame di banda e di server tale da rendere impossibile una sua replica amatoriale. Il p2p forse potrebbe sopravvivere anche senza investimenti, ed è già molto: ma la maggior parte dei servizi 2.0-qualcosa, se non produce utili, potrebbe scomparire (il che per qualcuno potrebbe essere un’ottima notizia;-)

Il problema non riguarda solo i cosiddetti utonti, che hanno bisogno di interfacce intuitive per pubblicare contenuti in rete: anche chi è perfettamente in grado di scrivere codice e installarsi da solo i programmi necessari deve fare i conti con l’eventualità che, in caso di fallimento del web di massa, i costi dell’hosting e della connettività tornino a salire rapidamente, tornando ai livelli del 1996. Sono la prima ad avere qualche nostalgia per il romanticismo del solo testo della Internet pre-commerciale, ma non credo che saremmo davvero felici di tornare a essere quattro gatti senza banda larga, Google, Ajax e problemi come “troppi social network da gestire”.

Niente pubblicità? Niente investimenti da parte delle aziende. Niente più Flickr, Gmail, Twitter, molto meno open source, improvvisa riduzione dell’offerta di servizi gratuiti, piccoli e grandi, utili e inutili. Uno scenario non molto probabile, per fortuna, ma vale la pena di prenderlo in considerazione per riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte.

Il rapporto tra media sociali e ricerca del profitto non si limita certo alla presenza/assenza di pubblicità: la rete oggi è già intrinsecamente commerciale e lo diventa sempre di più via via che i protagonisti del mercato fanno shopping di piccole realtà nate dal basso. Quel che sarà di noi e della nostra libertà di scelta e di movimento in un ambiente libero da pubblicità invasive, dipende anche dalla nostra capacità di premiare le aziende in grado di interpretare correttamente le modalità di conversazione in rete (se ce ne saranno). L’alternativa è pagare per i servizi che usiamo, alternativa che già nel 2001 (scusate l’autocitazione ) personalmente trovavo assai interessante.

Mafe de Baggis
Maestrini per Caso

di MdB vedi anche:
NoLogo/ Cosa crediamo di sapere

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Pubblicato il
7 dic 2007
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