Perché l'Italia spende in software proprietari?

Perché l'Italia spende in software proprietari?

Se lo chiedono gli utenti che a centinaia intendono girare la domanda al Governo: mentre si effettuano tagli alla spesa pubblica, non riconsiderare le politiche sul software sarebbe gravissimo. Open source in pole position
Se lo chiedono gli utenti che a centinaia intendono girare la domanda al Governo: mentre si effettuano tagli alla spesa pubblica, non riconsiderare le politiche sul software sarebbe gravissimo. Open source in pole position

Mentre scriviamo sono quasi 800, ma nei prossimi giorni potrebbero agilmente superare quota mille le firme di esperti ed utenti italiani che sostengono con una nuova poderosa iniziativa la diffusione dell’open source nella Pubblica Amministrazione , un tema destinato a pesare moltissimo in queste settimane, quelle in cui il Governo mette le mani ai conti e alle spese italiane.

Ed è proprio alle politiche di austerità che si richiamano i firmatari della lettera-petizione approntata dall’ hacklab di Caserta e ormai diffusa su mezza Internet, una lettera che entra nel dettaglio delle scelte possibili in materia di software e tecnologia e di come queste siano destinate ad impattare sui conti pubblici. Una lettera rivolta al Governo e che sarà materialmente spedita, condita dalle firme raccolte, il 20 luglio.

Per contribuire a ridurre il deficit del settore pubblico , a fronte delle forti preoccupazioni sul piano dell’occupazione, della precarietà del lavoro, dei possibili tagli alla sanità e via dicendo, i firmatari propongono che ci si occupi in primis delle “spese superflue”, come quelle per software inadatti e costosi.

“Ogni anno – sottolinea la lettera – la PA (…) spende molto denaro per acquistare software proprietari, quando se ne potrebbero usare di analoghi, distribuiti liberamente, cioè gratis. A titolo di puro esempio, ricordo che nell’anno 2004 sono stati spesi in software applicativo 483,801 Milioni di Euro, che si vanno a sommare ai 438.728 Milioni di Euro destinati ad hardware e software di base. Questi dati includono solo una minima parte delle risorse destinate a questo scopo perché riguardano solo le spese delle amministrazioni centrali”.

Documentazione alla mano i firmatari spiegano come università, enti di ricerca, scuole, comuni (in quello di Milano 300mila euro ogni anno di licenze Microsoft, sottolinea la lettera) non facciano che spendere per acquistare software proprietario o, meglio, il diritto all’utilizzo di quel software.

“Come cittadini – si legge nella lettera – apprezzeremmo molto se, prima di bloccare le assunzioni o gli stipendi, si decidesse di adottare il criterio del risparmio limitando i costi dei programmi proprietari”. Per farlo la lettera propone la via maestra dell’ estensione al software libero delle modalità di procurement Consip , ovvero le forme di acquisto da parte della PA attraverso la società pubblica dedicata . Una via peraltro già indicata da una indagine, dal titolo Usare l’open source nella Pubblica Amministrazione , resa pubblica già nel 2003 dall’allora ministero all’Innovazione.

Nella missiva che sarà presto recapitata ai vertici del Governo si insiste su alcuni di quei “nodi” già ben noti e dibattuti negli anni, già al centro di una celebre lettera che denunciava già nel 2000 quella che veniva considerata la soggezione del paese a Microsoft. Tra questi il fatto che i denari per le licenze di software proprietario finiscono perlopiù in mano ad imprese nordamericane, al contrario di quanto avviene stimolando lo sviluppo di software aperto in Italia.

I firmatari ricordano come l’Italia pulluli di programmatori open source e come lo stesso CNIPA valuti il nostro paese come quarto nel mondo per diffusione di sviluppatori impegnati su progetti a codice aperto. Eppure, sottolinea la lettera, la PA italiana non è fra le prime quattro per risparmio ottenuto grazie al software libero. Altri paesi, come Venezuela, Brasile, Cina, Bhutan ed Iran hanno invece intrapreso altre strade per abbattere i costi di licenza.

“La proprietà intellettuale – spiega la lettera – assicura ai detentori dei diritti sul software un reddito praticamente eterno, a fronte di un solo sforzo di sviluppo e ricerca, che si è concluso nel momento in cui si registra il brevetto. La teoria economica ci insegna che tutte le volte che qualcuno percepisce un reddito che non produce, c’è qualcun altro che produce un reddito che non percepisce: in questo caso ci sembra evidente che a produrre senza percepire siamo tutti noi, attraverso un apparato che destina enormi risorse pubbliche al pagamento di licenze sui software”.

“Esistono alternative gratuite, altrettanto valide – conclude la lettera – e data la situazione economica del paese sarebbe grave non tenerne conto”.

Il testo della lettera è disponibile su questa pagina , dove è anche possibile firmare per sostenerla.

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Pubblicato il
12 lug 2006
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