RANDOM020/I vicoli bui dell'e-commerce

RANDOM020/I vicoli bui dell'e-commerce

Non è detto che chi utilizzerà Internet per i propri acquisti abbia una sufficiente familiarità con il mezzo per evitare le insidie di un sistema inadeguato. Di (in)formazione del consumatore non si parla
Non è detto che chi utilizzerà Internet per i propri acquisti abbia una sufficiente familiarità con il mezzo per evitare le insidie di un sistema inadeguato. Di (in)formazione del consumatore non si parla


Web – Quella che segue è una storia vera, sono stati cambiati solo nomi ed evitati riferimenti a marchi sia per motivi di riservatezza che per non fare pubblicità.

Primo febbraio 2000, la mia carissima amica Aura deve prepararsi per un concorso, uno di quelli importanti, e le serve un libro in inglese; come spesso accade ha molta fretta – prima riuscirà ad avere il testo più tempo avrà per studiarselo – e quindi decide di non aspettare le tre settimane che gli propone il suo libraio di fiducia e si lancia nel suo primo acquisto via web.

Nel giro di pochi minuti, verifica che il libro che le serve è in vendita in diverse librerie on-line e, dopo una veloce comparazione dei prezzi, fa la sua scelta e paga con carta di credito. Per la spedizione opta per un corriere internazionale, costo 51 dollari, per garantirsi l’arrivo in 2/3 giorni lavorativi. A conti fatti, il testo le verrà a costare come se lo avesse acquistato in una libreria in Italia ma con il vantaggio di averlo in tempi più brevi.

Il corriere è di quelli che permettono ai loro clienti di tracciare – via web – lo stato della spedizione: in ogni momento si è informati di dove si trova il pacco. Aura approfitta di questa occasione per seguire, a partire da quando ha impartito l’ordine di acquisto, il percorso del suo prezioso pacchetto e si collega diverse volte all’apposito sito web per seguire la spedizione.

Partendo dagli Usa, il pacco arriva dopo 24 ore nel Regno Unito e dopo altre 7 ore giunge negli uffici di frontiera di una città del Nord Italia per le pratiche di sdoganamento, siamo al 3 febbraio e la mia amica si rallegra pensando di ricevere il giorno dopo il suo libro.

Arriva invece una telefonata dove le viene chiesto se è disposta a pagare 40 mila lire di diritti di dogana e di ulteriori spese del corriere; anche se un po ‘ contrariata (ha già speso 175$ per il libro e 51$ per la spedizione) Aura dice ovviamente di sì.

Passa ancora un giorno (e siamo al 5 febbraio) ma del pacco nemmeno l’ombra. Nuova telefonata al corriere che dice che il pacco è ancora fermo in attesa dell’espletamento delle pratiche doganali. L’attesa dura fino al 13 febbraio quando finalmente il libro arriva a destinazione.

Morale, Aura entra in possesso del suo tanto atteso libro 12 giorni dopo l’acquisto.

Un po ‘ incavolata (mi sembra il minimo) soprattutto per aver pagato quasi centocinquantamila lire di spese di spedizione per garantirsi una celerità che invece non c’è stata, decide di protestare con il corriere che si è fatto pagare in anticipo per un servizio che alla fine non ha reso.

Il corriere, dopo un po ‘ di insistenze e varie telefonate, ammette la sua “colpa” (anche se scarica la responsabilità maggiore sulla burocrazia doganale) ma fa presente che l’unico ad aver diritto a protestare e quindi a chiedere un eventuale rimborso è il mittente del pacco, vale a dire il web-store che lo ha spedito.

Dal punto di vista formale il ragionamento non fa una piega, ma puzza tanto di fregatura da e-commercio: io pago al venditore (in anticipo) le spese di spedizione, lui paga il corriere, il corriere non fa il suo lavoro e infine io dovrei chiedere al venditore di protestare per farsi rimborsare le spese di spedizione e poi farmele accreditare.

A questo punto restavano soltanto due possibilità: lasciar perdere tutto e rassegnarsi a questo sistema commerciale che sarà anche la base della cosiddetta “new economy” ma somiglia tanto alla vecchia, oppure provare a far valere i propri diritti di consumatore, sia pure “elettronico”.

Per fortuna, questa storia ha un lieto fine perché Aura, che non è una pivella della Rete, è riuscita, utilizzando solo la posta elettronica, a convincere il rivenditore in Usa a chiedere il rimborso delle spese di spedizione ed a farsele poi accreditare.

Problemi del genere sono sicuramente destinati a diventare molto comuni nei prossimi anni, ma non è detto che tutti coloro che si apprestano ad utilizzare Internet per i propri acquisti abbiano la costanza della mia amica e la sua familiarità con gli strumenti della comunicazione elettronica.

E nel settore alfabetizzazione di massa non si vede ancora nulla di concreto.

Giuseppe

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Pubblicato il
14 lug 2000
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