Tempi bui per la torcia spiona

Tempi bui per la torcia spiona

Scaricata da 100 milioni di utenti, l'app per Android Brightest Flashlight carpiva dati personali e li passava agli inserzionisti. Non un caso isolato, ma si invocano rimedi per frenare il dilagare del fenomeno
Scaricata da 100 milioni di utenti, l'app per Android Brightest Flashlight carpiva dati personali e li passava agli inserzionisti. Non un caso isolato, ma si invocano rimedi per frenare il dilagare del fenomeno

Così diffusa quanto infida, l’applicazione Brightest Flashlight che gli smartphone Android in una torcia è finita sotto accusa per il mancato rispetto della privacy degli utilizzatori.

Scaricata su quasi 100milioni di dispositivi, l’app sviluppata da GoldenShores Technologies si è dovuta confrontare con la Federal Trade Commission per aver condiviso illegalmente con altre aziende informazioni sulla posizione degli utenti e il codice identificativo dei singoli prodotti. Un comportamento inammissibile, peggiorato dal fatto che l’app, a prescindere dalla volontà degli utenti di accettare o meno le condizioni previste, carpiva dati personali sostenendo che rimanessero circoscritti all’azienda, mentre in realtà venivano girati a terzi, che in tal modo costruivano servizi e offerte su misura in base alle esigenze e preferenze delle persone.

La pessima figura degli sviluppatori, chiamata ora a risolvere il problema e pagare la probabile multa che gli sarà inflitta dalla FTC, non è certo una novità ma rilancia la necessità di porre rimedio alla valanga di dati personali raccolti con applicazioni e altri servizi digitali e, soprattutto, di chiarire l’utilizzo che ne viene fatto. “C’è una proliferazione dilagante di dati e informazioni private e tanto lavoro da fare per tentare di proteggere la privacy delle persone che è sempre più a rischio”, spiega Jessica Rich, responsabile della tutela dei consumatori in seno alla FTC. Preoccupata non solo dalle mire degli sviluppatori, che spesso si limitano a scrivere un codice meno specifico favorendo l’accesso ai dati, ma anche dalla superficialità degli utenti, che molto spesso autorizzano funzioni che facilitano il passaggio di informazioni riservate in mani sconosciute.

Le ricerche sul campo disegnano uno scenario piuttosto fosco. Una ricerca di HP dedicata alle applicazioni di natura aziendale ha rilevato che quasi tutte quelle considerate (97 per cento) mostravano serie crepe in termini di privacy e sicurezza. Difficile immaginare che il quadro relativo alle app commerciali sia diverso, anche se resta da capire per quale motivo una persona interessata a conoscere il meteo o giocare ad Angry Birds debba autorizzare l’accesso ai contatti o all’indirizzo email a favore dei vari sviluppatori. Se nell’era del web le informazioni personali si traducono in soldi, nessuno è risparmiato dalla cattura selvaggia, inclusi i minori. Una relazione della Federal Trade Commission sostiene che il 60 per cento delle applicazioni dedicati ai bambini condividono informazioni su posizione e contatti personali degli stessi, inconsapevoli come la stragrande maggioranza degli adulti di alimentare la fame di dati di piccoli e grandi operatori della Rete.

Alessio Caprodossi

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Pubblicato il
6 dic 2013
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