Twitter, pubblicità ed elitismo

Twitter, pubblicità ed elitismo

La pubblicità è per i paria, mentre gli utenti ritenuti di maggior valore vengono esentati. La piattaforma di microblogging ha una strategia per legare a sé la loro voce, potenzialmente capace di richiamare nuovi iscritti
La pubblicità è per i paria, mentre gli utenti ritenuti di maggior valore vengono esentati. La piattaforma di microblogging ha una strategia per legare a sé la loro voce, potenzialmente capace di richiamare nuovi iscritti

Una cerchia ristretta di utenti Twitter, gli influencer , gode di una piattaforma scremata della pubblicità, mentre il resto dell’utenza resta la fonte degli introiti di Twitter, che continua a vendere la loro attenzione agli inserzionisti.

Questa dinamica messa in atto dal servizio di microblogging è stata svelata da Recode : è probabilmente a partire da settembre, poco prima della conferma del reinsediamento del CEO Jack Dorsey, che Twitter ha iniziato a soppesare il valore di alcuni dei propri membri, e a studiare le strategie per conservare il loro interesse. Se la principale sfida per Twitter è la conquista di nuovi utenti , una soluzione per attirarli sono evidentemente gli iscritti che hanno scelto Twitter come veicolo delle proprie idee: legando a sé queste voci è possibile fare leva sulla loro presenza e sui contenuti che producono per richiamare l’attenzione di potenziali nuovi iscritti.

Certi meccanismi elitisti sono già stati adottati da Twitter per premiare certi utenti con l’anticipazione di funzioni particolarmente richieste. Se in precedenza la discriminante risiedeva nello status di utente verificato, in questo caso non sono chiari i criteri con cui la piattaforma operi la distinzione fra gli utenti: le fonti di Recode suggeriscono che a pesare non sia solo la popolarità assoluta del personaggio, ma anche la frequenza di pubblicazione dei contenuti e il seguito che ottengono.

Su questa base c’è chi, come Dave Winer, immagina uno schema applicabile a gran parte dell’industria dei contenuti: risparmiare l’advertising o il pagamento del pedaggio per abbattere i paywall a chi assicura visibilità presso il proprio nutrito seguito potrebbe diventare un tassello di un modello di business per un’editoria costretta a fare i conti con un mercato estremamente competitivo.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
27 gen 2016
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