UE: benvenuta sharing economy

UE: benvenuta sharing economy

La Commissione Europea rilascia le proprie linee guida per la regolamentazione dei servizi di economia partecipativa nei singoli stati. I divieti? Una misura estrema
La Commissione Europea rilascia le proprie linee guida per la regolamentazione dei servizi di economia partecipativa nei singoli stati. I divieti? Una misura estrema

L’Europa dice sì alla sharing economy, fatta eccezione per qualche riserva. È quanto si evince dalla lettura dell’ultimo documento pubblicato dalla Commissione Europea relativo alle linee guida destinate ai 28 stati membri per la regolamentazione del settore. I criteri suggeriti dalla Commissione, come è noto, non sono vincolanti per i paesi appartenenti all’Unione, limitandosi a indicare alcuni principi a cui dovrebbero ispirarsi la normazione e l’armonizzazione delle regolamentazioni già esistenti.

Tra i punti chiave racchiusi nel documento ne spiccano due in particolare. Il primo: distinguere coloro che utilizzano sporadicamente le piattaforme di sharing economy per arrotondare le proprie entrate da coloro che invece esercitano un’ attività professionale vera e propria . In questo frangente, ad esempio, il privato che noleggia la propria auto non andrebbe parificato ad una società che possiede un parco-macchine e lo dispensa con continuità tramite i servizi di car sharing. E in questo senso, si legge nel documento, è auspicabile l’individuazione di soglie minime di reddito per distinguere gli operatori sporadici dai fornitori professionali.

Altro punto: le entrate provenienti da queste nuove forme di economia devono essere tassate , in tutti i casi. A tale proposito, la Commissione, consapevole della delicatezza e della soprattutto della complessità della questione, auspica la partecipazione dei soggetti gestori delle piattaforme ad una piena collaborazione con le autorità fiscali dei singoli stati.

Un argomento spinoso, quello della regolamentazione dell’economia collaborativa, che cerca di perseguire un difficile e ambizioso punto di equilibrio tra istanze corporativistiche, liberalismo economico e protezione dei consumatori. Un atto dovuto, secondo molti analisti, considerate soprattutto la crescita vertiginosa del fenomeno e le problematiche socio-economiche ad esso correlate.
Servizi come Uber, BlaBlaCar e Airbnb, giusto per citarne alcuni tra i più famosi, hanno infatti dato filo da torcere in questi due ultimi anni ai governi di molti paesi europei. Pensiamo soprattutto alle proteste delle associazioni di tassisti contro Uber in Italia, Francia, Portogallo, Spagna e Gran Bretagna. Proteste a cui, in alcuni casi, hanno fatto seguito provvedimenti volti a inibire la prosecuzione delle attività contestate . Ma sono recenti anche le forti critiche riscosse da servizi di home sharing come Airbnb che, secondo molte associazioni di categoria, sarebbero lesivi del mercato delle locazioni immobiliari.

Quella della Commissione UE è una decisione strategica: soltanto nel 2015 l’economia cosiddetta partecipativa ha prodotto in Europa un giro d’affari di oltre 28 miliardi di euro, con ricavi per le piattaforme di gestione dei servizi stimati in 3,6 miliardi di euro . E il trend previsto per i prossimi anni è assolutamente in crescita, grazie all’interesse sempre più ostentato da parte di gruppi economici e finanziari mondiali. Si pensi, ad esempio, che Uber, una tra le aziende di sharing economy più quotate, vale oggi circa 68 miliardi di euro , e che in questi giorni il fondo sovrano dell’Arabia Saudita ha investito nella società statunitense ben 3,5 miliardi di dollari.

Nessuno tocchi la sharing economy, dunque. I divieti ad esercitare? Secondo la Commissione Europea soltanto se e quando ricorrano esigenze di pubblica utilità per salvaguardare interessi di carattere generale . Come sta procedendo l’Italia? Risale ad un paio di mesi fa l’ iniziativa promossa dall’intergruppo parlamentare per l’innovazione tecnologica che ha presentato un progetto di legge, in collaborazione con l’AGCM, con lo scopo di inquadrare, dal punto di vista legislativo e fiscale, le piattaforme di sharing economy. La proposta di legge, di fatto, esclude l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra utenti e piattaforme di economia collaborativa e prevede la qualificazione di queste ultime come sostituto d’imposta, con un’aliquota del 10 per cento fino a 10.000 euro di proventi. Oltre tale soglia, il reddito prodotto tramite le piattaforme di sharing economy si cumulerà con quello personale. Come andrà a finire? Alla luce delle linee guida espresse dalla Commissione è prevedibile una serie di integrazioni volte ad armonizzare il progetto con gli attuali orientamenti di Bruxelles.

Luca Barbieri

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Pubblicato il
6 giu 2016
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