UE: la pirateria nasconde, non ruba

UE: la pirateria nasconde, non ruba

Insabbiato per anni il corposo studio che non condannava la pirateria rispetto al presunto calo delle vendite: non la scagiona neanche, ma di certo non supporta le ultime politiche di Bruxelles
Insabbiato per anni il corposo studio che non condannava la pirateria rispetto al presunto calo delle vendite: non la scagiona neanche, ma di certo non supporta le ultime politiche di Bruxelles

Sulla scrivania della Commissione europea è rimasto ad impolverarsi per più di due anni un rapporto sulla correlazione tra pirateria e acquisti di beni protetti da copyright che non sembra andare nella direzione imboccata dalle istituzioni con le proposte di legge che si sono nel frattempo alternate .

Lo studio, costato alla Commissione europea 360mila euro avrebbe dovuto approfondire come la pirateria impatta sulle vendite di contenuti protetti da copyright (musica, libri, videogame o film) e sembra farlo di fatto negando che un legame ci sia: a tirare ora fuori il rapporto è stata la parlamentare del Partita Pirata tedesco, Julia Reda, che lo ha pubblicato sul suo blog personale dopo averne ottenuto l’accesso grazie ad una richiesta in base alla normativa europea sulla libertà di accesso alle informazioni.

Ad essere incaricato dello studio era stata la società olandese Ecory che lo aveva consegnato sulle scrivanie della Commissione già nel maggio del 2015. Il rapporto, tuttavia, non è mai finito per essere condiviso da Bruxelles: alcuni osservatori parlano di una scelta dettata dal fatto che quasi nulla, nelle 304 pagine del rapporto , indicasse una vera e propria correlazione tra la pirateria e i numeri delle vendite dei prodotti originali.

D’altra parte nel rapporto si parla addirittura della possibilità che i download e lo streaming illegale possano favorire la vendita legale di alcuni prodotti , come i giochi. Solo alcuni particolari prodotti come i cosiddetti film “blockbuster” subirebbero un effetto distorsivo dalla pirateria (addirittura però del 40 per cento): il tutto rientrerebbe peraltro nella tesi supportata da diversi studiosi favorevoli ad una revisione dello strumento del copyright/diritto d’autore, che parla dell’accesso online ai contenuti multimediali come forma di scelta di prodotti legali di qualità da acquistare. Insomma, una sorta di reazione naturale al cambiamento del mercato diventato per il settore sempre più bulimico e che determinerebbe per gli utenti la necessità di farsi un’idea prima di acquisire un prodotto o retribuirne i detentori dei diritti.

In ogni caso, in definitiva, nelle conclusioni si legge che “i risultati non mostrano solide evidenze statistiche relativamente ad eventuali danni alle vendite causate dalle violazioni online di copyright”.

Certo, si legge ancora, “questo non significa necessariamente che la pirateria non abbia alcun effetto, ma semplicemente che l’analisti statistica non permette di dimostrare tale legame con sufficiente correlazione da dire che un effetto c’è”: senza pensar male, insomma, esso potrebbe non essere stato considerato da Bruxelles sufficientemente utile per essere citato come fonte delle sue politiche in materia di tutela della proprietà intellettuale.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
22 set 2017
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