ZapMe! sparabanner si riprende i computer

ZapMe! sparabanner si riprende i computer

L'azienda americana aveva sollevato una grande attenzione decidendo di offrire computer e Internet gratis alle scuole in cambio dell'invio sui monitor di propri banner pubblicitari. Ma le cose non vanno come sperato
L'azienda americana aveva sollevato una grande attenzione decidendo di offrire computer e Internet gratis alle scuole in cambio dell'invio sui monitor di propri banner pubblicitari. Ma le cose non vanno come sperato


San Francisco (USA) – Il pay-to-surf nella versione ZapMe! non ha funzionato. La società che aveva sollevato molta polvere decidendo di regalare computer e Internet alle scuole, se queste accettavano di utilizzarli anche per visualizzare i suoi banner, ora chiude tutto e rivuole indietro i computer.

ZapMe! ha distribuito computer a quelle condizioni, “pagati-vedendo-banner”, alla bellezza di 2.300 istituti scolastici. Ai quali ora ha chiesto di ridare indietro i computer o di iniziare subito a pagarli. E questo perché la compagnia ha cessato quel genere di business ed è ora concentrata nel fornire accesso ad Internet a banda larga alle aziende.

Il boss di ZapMe!, Lance Mortenson, se l’è presa con le associazioni dei consumatori, critiche nei confronti della distribuzione del computer “bannerizzato” nelle scuole, e ha sostenuto che è colpa di questa presa di posizione se il modello di business è naufragato: “Le imprese non volevano associare i propri marchi al nostro servizio”.

La realtà è che l’impresa è ora posseduta al 51 per cento dall’israeliana Gilat Satellite Network, che ha imposto la chiusura del programma computer nelle scuole, anche in considerazione del fatto che il pay-to-surf è boccheggiante, come noto, in tutte le sue “versioni”.

Protestano, ma senza speranza di riuscire a tenersi i computer, molti direttori di scuola e osservatori del settore didattico, secondo i quali quanto accaduto con ZapMe! dovrebbe in futuro mettere tutti in guardia sull’utilizzo della scuola come “campo di collaudo” di “improbabili modelli di business”.

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Pubblicato il
6 dic 2000
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