Roma – Davvero un pasticcio quello di Internet a banda larga, dove tutti si sentono di investire economicamente, politicamente e culturalmente, ma che è costretto a passare da un imbuto che si chiama ADSL. Con le chiavi della porticina di questo imbuto saldamente nelle mani di Telecom. E con prospettive quasi vicine allo zero.
Oggi le varie offerte ADSL sul mercato sono tutte Telecom (tecnologia e rete), anche se si differenziano per l’involucro d’acquisto: i provider alternativi non sono tali, ma solo rivenditori del prodotto Telecom complessivo. Mentre per le connessioni non-ADSL, Telecom affitta ai suoi concorrenti solo l’ultimo miglio (il cavo che dall’allaccio del consumatore va alla centralina Telecom) e questi ultimi proseguono poi con le proprie linee, per l’ADSL è tutto Telecom: gli apparati nelle centraline che trasformano in banda larga e la rete Internet successiva.
Telecom, in alternativa, vorrebbe che ogni provider mettesse le proprie apparecchiature ADSL nelle centraline, ma si tratta di macchine costosissime che per essere ammortizzate, in ogni postazione, avrebbero bisogno di almeno 500 abbonati ADSL e più di 1000 in fonia (numeri possibili -ovunque- solo per Telecom).
Ed ecco che i provider alternativi sono partiti all’attacco, chiedendo che Telecom, per l’ADSL, affitti l’ultimo miglio comprensivo di apparecchiature nelle centraline, ma non il proseguimento su linee Telecom nella Rete, così come avviene per le connessioni non-ADSL. Proprio per questo, Renato Soru, leader di Tiscali, è in questi giorni a Bruxelles per porre il problema e la soluzione al commissario Mario Monti.
Questo è il quadro del futuro di Internet in Italia (e non solo).
Da una parte abbiamo Telecom che usa e abusa della sua posizione dominante e dell’eredità del sistema monopolistico, lasciatogli in gestione e apparentemente liberalizzato con l’affitto dell’ultimo miglio. Infatti, così come si presenta, la questione ADSL è una evidente dimostrazione che il patrimonio di gestione dell’ultimo miglio è tutto: oggi mostra il suo deficit di liberalizzazione con l’ADSL, e domani?
Dall’altra abbiamo i concorrenti di Telecom che sono dei nani, con prospettive (viste le potenzialità commerciali di espansione della banda larga) ancora più riduttive. Oggi possono solo fare i rivenditori di Telecom, domani (ammesso che riescano ad ottenere anche il noleggio delle apparecchiature ADSL nelle centraline), avranno un’autonomia che devono sempre pagare al loro principale concorrente.
L’alternativa per non essere nani, sarebbe di farsi una propria rete incluse le “ultime miglia”, ma oltre ai costi a cui dovrebbero andare incontro, dovrebbe essere riconsiderata tutta la disponibilità del territorio (e di chi lo amministra) a dare il via a stagioni di grandi lavori.
Ma di alternative ce ne sarebbe ancora un’altra: levare a Telecom qualunque gestione dell’ultimo miglio, affidandola, per esempio, ad un consorzio a cui potrebbero partecipare tutti coloro che ne usufruiscono, con la supervisione tecnica e politica del Garante delle Telecomunicazioni. Una scelta politica che Parlamento e Governo dovrebbero fare decidendo di scaricare completamente il vecchio monopolio Telecom, nonchè la sua versione “anni 2000”.
Ma intanto il consumatore paga un prezzo non-giusto per il servizio che oggi c’è e -soprattutto – per la sua assenza in larga parte del territorio italiano; e le autorità si limitano a registrare l’esistente e a non fare nulla. Quand’anche s’arrivasse alla soluzione desiderata dagli Internet provider, sarebbe come pretendere di curare il cancro con il citrato. E non si capisce bene se ci siano le intenzioni di curare o solo di sopravvivere.
Vincenzo Donvito, presidente ADUC