Australia, scure sui link a materiale illegale

Australia, scure sui link a materiale illegale

Le major esultano: nelle corti australiane passa il principio secondo cui il semplice linkare a brani musicali protetti dal diritto d'autore è un reato bello e buono. Il prossimo passo sarà denunciare Google?
Le major esultano: nelle corti australiane passa il principio secondo cui il semplice linkare a brani musicali protetti dal diritto d'autore è un reato bello e buono. Il prossimo passo sarà denunciare Google?

L’Australia è sempre più all’avanguardia nella lotta alla pirateria telematica. Non bastassero le iniziative di legge che minacciano di trasformare una canzoncina di compleanno in una multa da 2mila euro, ora arriva come un maglio la sentenza di una corte che stabilisce, sic et simpliciter , che il link a brani musicali messi in rete senza alcuna autorizzazione dai proprietari dei diritti è un reato , e porta all’infrazione del diritto d’autore.

Lo segnala Boing Boing : la causa intentata dalle major della musica incluse Universal Music, Warner Music, Festival Records, EMI e BMG contro Stephen Cooper e il suo sito Mp3s4free.net , ha infine stabilito che chi pubblica collegamenti ipertestuali a contenuti illeciti è colpevole di infrazione del diritto d’autore . Né chi immette i contenuti né chi li scarica vengono presi in considerazione dalla sentenza: Cooper, così come il provider che ospita il sito, sono responsabili quanto e più di chi ha materialmente reso disponibile il materiale incriminato.

Mp3s4free.net, com’è facilmente intuibile dal nome, metteva a disposizione degli utenti un motore di ricerca attraverso cui cercare brani musicali in rete, restituendo appunto i link alla risorsa desiderata. Solo i link , sui server del sito non era ospitato altro che il motore di ricerca: tanto è bastato alla corte australiana per dichiarare la colpevolezza di webmaster e service provider.

“Il signor Cooper aveva la possibilità di impedire la diffusione delle registrazioni audio protette da copyright al pubblico in Australia”, ha stabilito la Corte, “Aveva il potere di farlo in virtù del fatto che era responsabile della creazione e della gestione del suo sito Mp3s4free”. Stephen Cooper doveva insomma censurare il suo motore di ricerca , come l’industria vorrebbe fosse pratica diffusa su tutta la rete.

Non contenta della vittoria in tribunale, la Music Industry Piracy Investigations ( MIPI ), braccio investigativo dell’associazione dei produttori musicali australiani, dichiara di voler proseguire sulla stessa linea d’azione e minaccia sfracelli nella blogopalla e sui portali di social networking: “Noi non facciamo nessuna distinzione tra siti grandi e piccoli” ha dichiarato Sabiene Heindl, general manager di MIPI, aggiungendo che, nel caso dei blog, i siti verranno giudicati “caso per caso per valutare se sia opportuno agire”.

Blog, portali come YouTube e MySpace, niente si salva dalla efficace volontà censoria dei nuovi sceriffi della rete : Sabiene Heindl lancia un avvertimento persino a Google, perché anche se “Mp3s4free era differente nel senso che in pratica catalogava file mp3 che infrangevano il copyright”, e Google non agisce specificamente in questo senso, nel motore dei motori non mancano i link a materiale gelosamente protetto dall’industria dei contenuti. “C’è, ad ogni modo, un’azione intrapresa nei confronti di Google in altre giurisdizioni, e siamo in impaziente attesa dei risultati” dice Heindl. Come a voler significare che ce n’è anche per BigG. Link sempre più sotto accusa in rete: l’anima del web, la sua natura ipertestuale, non è più gradita all’industria , che fa di tutto per snaturarla e metterne sotto accusa le possibili degenerazioni: l’iniziativa australiana segue quella di 20th Century Fox Film Corporation contro l’archivio di link di QuicksilverScreen , le cui conseguenze si riverberarono in accese discussioni ancora in corso in seno alla community di Wikipedia.

Ed è altresì significativa la recente sentenza della Cassazione italiana in merito ai link a trasmissioni di SKY ospitate su server cinesi da parte del portale Coolstreaming.

I link selvaggi fanno discutere persino nella censuratissima Cina , con il caso di Baidu , motore di ricerca locale messo sotto accusa dalle grandi sorelle del mercato discografico per i collegamenti a brani musicali illegali. In questo caso, in netta controtendenza rispetto all’apparente recrudescenza della legislazione cinese nei confronti di p2p e affini , il motore di ricerca è stato incredibilmente sollevato dalle accuse, ed è passata la regola secondo cui chi linka non commette reato.

Un principio che è sempre stato considerato sacrosanto , in seno alla rete, e che ha permesso la nascita di giganti quali Google, grandiosi progetti collaborativi come appunto l’autorevole Wikipedia, la blogosfera piena di contenuti autoprodotti e, più in generale, il multiforme universo del fenomeno comunemente definito come Web 2.0 .

Una nuova dimensione del network telematico globale che prevede, come sua regola aurea, l’accessibilità ancora più spinta alla conoscenza e ai contenuti condivisi. Una prospettiva che spaventa sempre di più l’industria , che si sente minacciata nella sua stessa ragion d’essere (il ricavo immediato proveniente dalle vendite dei dischi e dei brani digitali negli e-store autorizzati), come dimostrano le recenti discussioni sulla presunta crisi negli affari del popolare iTunes di Apple.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 20 dic 2006
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