Google ha sempre detto di voler sviluppare un’intelligenza artificiale “buona”, al servizio dell’umanità. Eppure, qualcosa sembra essere cambiato nelle ultime settimane.
Google non si impegna più a non usare l’AI per le armi
In sordina, quasi di nascosto, l’azienda di Mountain View ha rimosso dal suo sito web una sezione cruciale dei suoi principi etici sull’AI. Quella in cui si impegnava a non perseguire applicazioni belliche o di sorveglianza dell’intelligenza artificiale.
Al posto di quella promessa, ora campeggia un generico riferimento al rispetto dei “principi del diritto internazionale e dei diritti umani“. Come se bastasse appellarsi a concetti così vaghi e controversi per giustificare qualsiasi uso dell’AI, anche il più discutibile.
Ma la verità è che Google sta facendo un’inversione a U rispetto al passato. Solo nel 2018, infatti, aveva rinunciato a un redditizio contratto con il Pentagono per il riconoscimento di immagini militari, proprio a causa delle proteste dei dipendenti. Che temevano di star lavorando, di fatto, allo sviluppo di armi autonome e letali.
Timori tutt’altro che infondati, a quanto pare. Il capo dell’AI del Pentagono ha confermato che l’esercito americano sta già utilizzando i sistemi di AI sviluppati da alcune aziende per velocizzare il processo decisionale militare – dalla localizzazione di un obiettivo fino alla sua neutralizzazione.
Insomma, altro che non essere malvagi… Qui si parla di essere complici, volenti o nolenti, di una nuova corsa agli armamenti su scala globale. Con l’AI come principale terreno di scontro tra superpotenze economiche e militari come USA, Cina e Russia.
Profitti contro diritti: il dilemma delle Big Tech
Certo, si può obiettare che Google non è sola in questa deriva bellica dell’intelligenza artificiale. Anche altri colossi come Microsoft, Amazon e IBM hanno contratti milionari con il Pentagono o altri governi per progetti di AI militare. Spesso tenuti ben nascosti al pubblico e persino ai dipendenti.
Ma questo non assolve Google dalle sue responsabilità. Anzi, rende ancora più ipocrita e preoccupante il suo voltafaccia sui principi etici. Come se bastasse cambiare qualche parola su un sito web per cancellare anni di promesse e buone intenzioni sull’uso “buono” dell’AI.
La verità è che dietro questa svolta ci sono interessi economici e geopolitici enormi. Con il boom dell’intelligenza artificiale, chi resta indietro nella corsa agli armamenti digitali rischia di perdere non solo fette di mercato, ma anche peso nello scacchiere mondiale. E questo vale sia per le aziende che per gli stati.