Guardian, rettifica su Whisper

Guardian, rettifica su Whisper

Il giornale inglese torna sui suoi passi e sembra ritirare tutte le sue accuse precedentemente mosse contro la piattaforma delle soffiate. Che non viola quindi la privacy e la sicurezza dei suoi utenti
Il giornale inglese torna sui suoi passi e sembra ritirare tutte le sue accuse precedentemente mosse contro la piattaforma delle soffiate. Che non viola quindi la privacy e la sicurezza dei suoi utenti

Il Guardian è stato costretto a fare una parziale rettifica rispetto alle accuse mosse con una serie di articoli nei confronti del servizio di delazioni Whisper.

Whisper è composto da una app per smartphone e da un sito Web , pensato per offrire la protezione dell’anonimato a chiunque voglia rivelare notizie o fatti imbarazzanti, socialmente discutibili o anche illegali: tuttavia, secondo una serie di articoli del Guardian iniziata lo scorso ottobre , questa in realtà non tutelerebbe la privacy degli utenti, tracciati sempre, comunque e con precisione notevole. Il problema riscontrato nell’app da parte dei giornalisti sarebbe dunque stato doppio: da un lato il tracciamento degli utenti, anche nel caso in cui avessero fatto opt out dai servizi di geolocalizzazione , dall’altro la conservazione dei loro dati personali.

La notizia era interessante perché metteva in discussione la possibilità di collaborazione tra questo servizio e organizzazioni e giornalisti come quelli del Guardian che si occupano di comunicazione ed informazione, e colpiva Whisper sul sul punto di forza: l’anonimato garantito agli utenti.
Anche per questo la risposta del servizio non si era fatta attendere ed i suoi responsabili avevano riferito che si trattava solo di bugie e falsità di cui il giornale si sarebbe presto pentito .

Questo momento sembra essere giunto: il Guardian ha rimosso l’articolo dal titolo “Think you can Whisper privately? Think again” e specificato che – come affermava Whisper – la localizzazione attraverso indirizzi IP “fornisce solo un’indicazione approssimativa della posizione di una persona, spesso limitata al paese, allo stato o alla città”. Il giornale ha scritto che “siamo lieti di chiarire che questo dato è assolutamente parziale e non affidabile come indicatore di localizzazione. E siamo anche lieti di chiarire che che il pubblico non può scoprire l’identità o la localizzazione di un utente Whisper a meno che non sia l’utente stesso a divulgare tale informazione”. “Inoltre – spiega il quotidiano – anche nel caso in cui Whisper condivide dati con l’Ufficio di prevenzione dei Suicidi del Dipartimento della Difesa, questi non contengono dati personali. Siamo anche lieti di chiarire che Whisper non conserva alcun dato fuori dagli Stati Uniti e che Whisper collabora con le forze dell’ordine quando è ravvisato un pericolo imminente di morte od un rischio concreto per la salute”.

Inoltre, il Guardian è lieto anche di chiarire che la modifica apportata alla licenza d’uso del servizio, introdotta in concomitanza con il suo primo articolo, non ha rappresentato una correzione frettolosa per mettere una pezza ai problemi da essa sollevati, ma un cambio annunciato e ragionato da tempo.

Nonostante quella che sembra una vittoria lungamente attesa, ora il CEO di Whisper Michael Heyward si limita a dire che non si tratta di una vendetta ma dell'”importanza vitale che i nostri utenti ed i nostri partner sappiano che Whisper è e sarà sempre votata completamente alla privacy di chiunque lo voglia utilizzare”.

Rabbia è invece quella che esprimono su Twitter due ex membri dello staff editoriale di Whisper, licenziati in seguito alle polemiche scatenate dal Guardian .

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
13 mar 2015
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