Roma – Altro che contrattazione, quella appena sottoscritta dalle major è la resa incondizionata a Steve Jobs e al mondo elettronico che da oggi detta le regole di un mercato colossale. Jobs ha infatti portato a casa un accordo, firmato dalle multinazionali del disco, su cui queste hanno sputato per lunghi mesi e che ora sono costrette ad accettare .
Di che si parla? Dei prezzi dei brani in vendita su Apple iTunes Music Store , il più celebre jukebox online che da solo veicola il 70-80 per cento della musica venduta su Internet : Jobs vuole che siano accessibili, perché conosce Internet, conosce la sua audience e conosce bene il giochino multimiliardario che ha messo in piedi; le major invece vogliono alzarli, perché 99 centesimi per l’acquisto di un file non sono sufficienti a mantenere i loro profitti ai livelli a cui, a colpi di CD, si erano abituate. Ma 99 centesimi erano, e 99 rimangono.
Fino soltanto a un paio d’anni fa sarebbe stato impensabile, o quasi , che fosse un distributore di file digitali a dettare le regole del mercato in luogo delle grandi etichette della musica internazionale. Questo ora succede davvero, non a caso proprio con il mattatore dell’unico comparto discografico che oggi conta davvero – perché contano le aspettative che ci sono dietro, oltre ai profitti in solida e rapida crescita – quello digitale. Ed è una vera rivoluzione che determina le nuove modalità di business .
Che questa clamorosa firma sia arrivata, e al tavolo c’erano Universal, Warner Music, EMI e Sony BMG, non deve sorprendere: oggi queste società che vedono collassare progressivamente i mercati tradizionali sono costrette ad affidarsi ad Apple e ai suoi emuli. Il peer-to-peer continua a crescere, è vero, ma se c’è un futuro di redditività per queste multinazionali, compresse nell’ossessiva tutela dei diritti d’autore divenuti privilegi editoriali, questo arriva tutto dai jukebox autorizzati.
Se un giorno accadrà di vedere quel prezzo crescere, quella sì che sarà una sorpresa: il settore è in fermento tanto che Napster due giorni fa per parare i colpi di Apple e rosicchiare quote di mercato si è lanciato nell’annuncio di “musica gratis per tutti”. Non stanno proprio così le cose, i paletti ci sono, i lucchetti al DRM anche, ma il prezzo della musica in Internet sembra proprio destinato a scendere , non certo a salire. Anche MSN sta ristrutturando i suoi prezzi e proprio pochi giorni fa un player internazionale come Tiscali ha lanciato un music store basato su Mercora , la radio P2P dello streaming gratuito.
E poi sì, l’accordo firmato obtorto collo dai grandi del settore è destinato a impattare nel lungo periodo su quello star system che ha sì dato vita ad un giro di miliardi (dollari, euro, fate un po’ voi) senza precedenti ma anche ad una produzione musicale scadente. Ora il consumatore, e non solo chi folleggia con il file sharing, la musica l’acquista, e acquista un brano alla volta, un pezzo qui un pezzo lì, determinando con la sua consapevolezza e la sua nuova capacità di scelta una trasformazione dei paradigmi del mercato. Chissà che nel tempo gli spazi oggi occupati da sonorità senza costrutto cedano al vero talento. È sperare troppo?
Paolo De Andreis