Lessig: il remix è l'anima del cambiamento

Lessig: il remix è l'anima del cambiamento

Cinque proposte per ristabilire un sistema del copyright che consenta alla cultura di fluire e di innervare le nuove generazioni. Che si appropriano dei contenuti per reinventarli. La parola al teorico del copyleft Lawrence Lessig
Cinque proposte per ristabilire un sistema del copyright che consenta alla cultura di fluire e di innervare le nuove generazioni. Che si appropriano dei contenuti per reinventarli. La parola al teorico del copyleft Lawrence Lessig

“Dovremmo poter respingere l’idea che la cultura di Internet si opponga al profitto e che il profitto debba distruggere la cultura di Internet – così Lawrence Lessig, paladino della cultura libera, difende il libero fluire della creatività in rete – Un vero cambiamento è necessario, un cambiamento nella legge e un cambiamento in noi”.

L’ arringa del celeberrimo professore statunitense di diritto si intesse sulle pagine del Wall Street Journal : intende responsabilizzare i netizen e rendere consapevole l’industria dei contenuti, intende dimostrare come la creatività reticolare, come il puzzle di contributi creato dai cittadini della rete e dagli attori tradizionali dell’industria possa mettere in circolo un flusso di cultura capace di valorizzare ciascuno dei suoi tasselli. Lessig cita un caso esemplare: ricorda l’ ira funesta che Universal e Prince hanno riversato contro una madre responsabile di aver postato su YouTube le goffe evoluzioni di un lattante che zompetta al ritmo dell’ineffabile artista.

Casi analoghi accadono sempre più di frequente: i detentori dei diritti si scagliano contro i cittadini della rete che danno voce al proprio diritto al fair use, che inscatolano la creatività altrui in prodotti completamente originali, che reinterpretano e infondono nuova vita in opere che i detentori dei diritti vorrebbero immutabili e intoccabili. Si tratta di un effetto collaterale , spiega Lessig, di una conseguenza dell’imponente dispiegamento di forze mobilitato dall’industria nella “guerra del copyright”. “Il file sharing a mezzo P2P è il nemico nella guerra del copyright . I ragazzi che rubano il materiale con un computer sono l’obiettivo – ricorda Lessig – la guerra non riguarda le nuove forme di creatività, non riguarda gli artisti che creano arte”.

Ma la cultura del remix, la cultura amatoriale non può essere una vittima di questo contesto: all’inizio del Novecento il fonografo spingeva i musicisti a denunciare la morte della canzone cantata dalle persone, a paventare che i giovani non avrebbero più ritmato le tiepide serate d’estate cantando e interpretando le canzoni del presente e del passato. Ora le persone potrebbero tornare ad alimentare la cultura amatoriale grazie a media digitali che si possono leggere e scrivere, potrebbero dare voce al proprio desiderio di raccontarsi e di raccontare il mondo che le circonda. Ma la guerra del copyright ha la meglio su di loro: “I nostri ragazzi vivono in un clima di proibizione”, constata Lessig, “si vedono come criminali. Iniziano ad abituarsi a questa idea”.

“Questa guerra deve finire”, denuncia l’avvocato, “la legge sul copyright deve cambiare”: sono cinque le proposte di Lessig per restituire al sistema del diritto d’autore le funzioni che ha sempre perseguito, quella di tutelare la creatività e quella di innescare nuova creatività. La prima è quella di deregolamentare il remix amatoriale : non si può non cogliere l’opportunità offerta dai media digitali, l’occasione di restituire valore alle opere del passato reinventandole e riempiendole di nuovi significati. Il remix amatoriale dovrebbe essere assolutamente libero e svincolato da ogni tipo di burocrazia. Il remix immesso nei circuiti di condivisione assume un valore economico? Allora dovrebbe essere chi trae guadagno dal remix a ricompensare l’autore dell’opera originale, dalla quale il netizen ha tratto ispirazione: nella fattispecie, se YouTube circonda di pubblicità il video del bimbo che si dimena al ritmo di Prince, è giusto che sia YouTube a corrispondere all’artista parte di quanto gli ha consentito di guadagnare.

Ma a dover essere deregolamentata, prospetta Lessig, dovrebbe essere anche la copia , un concetto che nell’era del digitale ha perso di senso, in quanto c’è copia ogniqualvolta un contenuto venga utilizzato. La legge, chiarisce Lessig, piuttosto che sulla copia in sé dovrebbe concentrarsi sugli utilizzi che l’individuo fa della copia e su come questi utilizzi si riverberino sull’obiettivo della legge di ricompensare e incentivare gli autori.

La semplificazione è il terzo pilastro della proposta del legale statunitense: poiché il quadro normativo che regola il copyright agisce su “tutti coloro che usino un computer”, c’è più che mai il bisogno che il testo legislativo sia accessibile e comprensibile a tutti.

Lessig torna inoltre a proporre di restituire efficienza all’intero sistema del diritto d’autore, valorizzando entrambi gli obiettivi che si propone, quello della tutela dell’autore e quello dell’incoraggiamento della creatività: basterebbe ripristinare la durata automatica di 14 anni del copyright, affiancando alla durata automatica la possibilità di rinnovare la protezione. In questo modo, solo coloro che traggono ancora guadagno dalla propria opera la vincolano nel sistema di tutela, mentre gli altri la consegnano al pubblico dominio affinché possa stimolare la creatività di altre persone.

L’ultimo obiettivo di Lessig è quello di smettere di criminalizzare la generazione degli sharer: “La guerra allo scambio peer-to-peer è un fallimento, dopo una decade di lotta, la legge non ha rallentato il file sharing, né ha saputo compensare gli artisti”. A parere del legale è necessario scervellarsi per orchestrare un sistema nel quale gli artisti possano essere ricompensati per il proprio operato, senza tentare di imporre gli argini al fluire dei contenuti: gli artisti, Lessig lo sostiene da anni, potrebbero beneficiare della circolazione delle opere monetizzando la propria popolarità attraverso canali come la musica dal vivo, contando sul fatto che le opere scaricate spesso si traducono in opere acquistate , ottenendo una compensazione per certi usi che il pubblico fa delle loro opere.

“Il ritorno alla cultura del remix potrebbe sospingere una crescita economica straordinaria, se fosse incoraggiata e opportunamente bilanciata – spiega Lessig – potrebbe restituire alla nostra cultura pratiche che hanno segnato ogni cultura nella storia dell’uomo ad eccezione di quella del mondo ricco del XX secolo, una cultura nella quale ciascuno consumi e crei”. La palla passa ora al legislatore e all’industria dei contenuti.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 14 ott 2008
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