Spotify, con la pirateria, contro la pirateria

Spotify, con la pirateria, contro la pirateria

La piattaforma di streaming deve il proprio successo al file sharing illegale: lo sostiene il ricercatore Rasmus Fleischer, partecipe della storia di The Pirate Bay
La piattaforma di streaming deve il proprio successo al file sharing illegale: lo sostiene il ricercatore Rasmus Fleischer, partecipe della storia di The Pirate Bay

La storia di Spotify è strettamente connessa a quella di The Pirate Bay, che ha rappresentato un appiglio per la scalata al successo del servizio di streaming, tanto in termini di mercato quanto in termini di costruzione del proprio archivio musicale: è questa la tesi di Rasmus Fleischer, figura di rilevo presso la Baia dei Pirati delle origini e fra i fondatori di Piratbyrån, organizzazione svedese che da anni si batte per la libera circolazione della cultura e per una concezione più aperta del copyright.

Fleischer, parallelamente ai propri trascorsi a bordo del galeone battente bandiera pirata, sta percorrendo una carriera da ricercatore presso l’Università di Stoccolma. Sta lavorando ad un saggio che ripercorre le tappe dell’affermarsi di Spotify e che analizza il contesto in cui è maturato il successo dei servizio di streaming: il testo uscirà per MIT Press il prossimo anno, ma le anticipazioni che il ricercatore ha offerto alla stampa hanno già alimentato le attese rispetto al suo studio.

Spotify, sostiene Fleischer, non sarebbe esistito senza la Baia dei Pirati , senza il clima che ha contribuito a creare, tanto presso i cittadini della Rete, quanto presso l’industria della musica tradizionale. Non si tratta solo di una naturale evoluzione del mercato dettata dalle esigenze di platee sempre più abituate al concetto di jukebox celestiale, di musica liquida da fruire come servizio: a parere del ricercatore, le connessioni tra The Pirate Bay e Spotify sono strette e molto concrete.

Spotify, fondato nel 2006 in Svezia e lanciato nel 2008, ha festeggiato il primo milione di utenti paganti nel 2011. Nel 2006 avveniva lo storico sequestro di The Pirate Bay, nel 2011 si esaurivano le ultime propaggini del processo che ha decretato la colpevolezza degli amministratori dei sito, processo nel corso del quale un giudice era stato rimosso dal proprio incarico, visto il conflitto di interessi generato dal fatto che lavorasse proprio per Spotify.

Il servizio di streaming, in questo momento, è apparso subito una risorsa per l’industria della musica e per la politica : secondo Fleischer “il destino del servizio di streaming è stato pianificato a tavolino”, affinché assurgesse a punto di riferimento, così che “i politici potessero affermare che il problema della pirateria non sussistesse, data l’esistenza di Spotify”, così che “i Partiti Pirata potessero sostenere che i pirati non andassero perseguiti”, data la capacità di Spotify di alimentare il mercato legale, così che “l’industria della musica potesse sostenere la necessità di perseguire i pirati, perché in caso contrario Spotify non avrebbe avuto speranza di affermarsi”. La Svezia, in quegli anni, rappresentava un terreno fertile, spiega Fleischer: oltre ai riflettori puntati sul caso The Pirate Bay, l’industria della musica locale stava vivendo una drammatica crisi, con le etichette disposte a tutto pur di sopravvivere. In quel momento sono state avviate le trattative con l’industria, in particolare con le major, senza le quali, e senza i cui investimenti, il servizio non avrebbe potuto ambire che a una posizione di nicchia.

Ma prima di stabilire i rapporti con l’industria, dichiara il ricercatore sulla base della propria esperienza, la piattaforma di streaming svedese si sarebbe nutrita di pirateria proprio con i metodi che hanno condannato Grooveshark, nato con le stesse ambizioni di Spotify: con la versione beta di Spotify “si distribuivano i file mp3 che i dipendenti avevano sui loro hard disk”, e lo dimostrerebbe il fatto che dei brani della band in cui Fleischer suonava, mai rilasciati attraverso i canali ufficiali ma condivisi su The Pirate Bay, fossero presenti negli archivi del servizio di streaming. Spotify aveva giustificato a Fleischer l’accaduto con le esigenze delle fasi di testing, concentrate più sull’efficienza dell’infrastruttura che sulla gestione dei contenuti.

Le dichiarazioni di Fleischer, benché dirompenti, con ogni probabilità non influiranno sulla posizione di Spotify, né sui suoi progetti : negli anni il servizio ha sviluppato un rapporto conflittuale di mutua dipendenza con l’industria della musica , un equilibrio delicato strattonato da entrambe le parti, ad esempio per il nodo delle royalty , ma ormai indissolubile, dato l’ andamento del mercato della musica , che non può prescindere dal modello dello streaming.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
11 mag 2017
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