Spotify, privacy a misura d'uomo

Spotify, privacy a misura d'uomo

La piattaforma di streaming interviene per diradare ogni dubbio sulla presunta invadenza delineata dalla più recenti policy sulla privacy: basta esprimersi con lo stesso linguaggio che parlano gli utenti
La piattaforma di streaming interviene per diradare ogni dubbio sulla presunta invadenza delineata dalla più recenti policy sulla privacy: basta esprimersi con lo stesso linguaggio che parlano gli utenti

Per evitare fraintendimenti e polemiche come quelle sollevate nelle scorse settimane, Spotify ha scelto di aggiornare la propria policy relativa alla privacy: la modifica sostanziale non risiede nei contenuti, ma nella forma.

L’apprensione degli utenti della piattaforma di streaming musicale aveva assunto i contorni di una protesta nel mese di agosto: gli aggiornamenti apportati alla policy sulla privacy, in particolare nella sezione relativa ai dati raccolti, avvertivano l’utente del fatto che una volta ottenuto il consenso l’app mobile avrebbe avuto accesso a contatti, foto, non meglio precisati file multimediali e dati geolocalizzati. Solo le successive precisazioni dei portavoce di Spotify avevano chiarito agli utenti che questi dati sarebbero stati rastrellati al classico scopo di migliorare il servizio con nuove esperienze d’uso, con la rassicurazione di un trattamento equo e legale.

Spotify è nuovamente intervenuta sulle propria policy per sgombrare il campo dai dubbi che continuassero a tormentare gli utenti più diffidenti: lo ha fatto addomesticando il gergo legalese con cui l’informativa era stata vergata, rivolgendosi all’utente con un linguaggio comprensibile, rassicurante ed esplicito.

Si sottolinea ora come “le informazioni siano raccolte al solo scopo di fornire i servizi di Spotify e le sue funzioni” e si suddividano in due categorie: quelle necessarie al funzionamento basilare del servizio quali generalità, indirizzo IP, la musica ascoltata, le informazioni tecniche sul dispositivo, e quelle utili ad approfittare di servizi aggiuntivi, sempre sottoposte al consenso da parte dell’utente. È così che, qualora l’utente decidesse di fornirli concedendo una prima autorizzazione revocabile in qualsiasi momento, i dati di geolocalizzazione possono servire a rimanere informati su eventi nei dintorni, le immagini che si sceglie di condividere potrebbero essere utilizzate dall’utente per personalizzare una propria playlist, i contatti possono risultare utili a connettersi con degli amici che usino Spotify e le temute registrazioni dal microfono sono un semplice modo per interagire a voce con l’app.

La stessa premura è impiegata per descrivere l’uso delle informazioni che Spotify condivide con terze parti: sono anonimizzate le informazioni condivise con i detentori dei diritti e con gli operatori del marketing e dell’advertising, ed è necessario condividere informazioni con Facebook o con l’operatore mobile se l’accesso è mediato dai loro servizi.

“Speriamo che queste modifiche forniscano una salutare dose di chiarezza e di informazioni sul contesto”, auspica il CEO di Spotify Daniel Ek. La stessa attenzione nei confronti degli utenti non sembra però essere dedicata alle platee italiane, per cui la privacy policy resta aggiornata al lontano 2013 .

Gaia Bottà

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Pubblicato il
7 set 2015
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