Toblòg/ Hacker Hacker 2003

Toblòg/ Hacker Hacker 2003

di Vittorio Bertola - Cos'è stato l'Hackmeeting di Torino? Chi c'era e perché? Cosa significa essere hacker? Tutto questo nel racconto di uno dei partecipanti all'evento di Torino che si è appena concluso
di Vittorio Bertola - Cos'è stato l'Hackmeeting di Torino? Chi c'era e perché? Cosa significa essere hacker? Tutto questo nel racconto di uno dei partecipanti all'evento di Torino che si è appena concluso


Roma – E così, adesso sono ufficialmente un hacker, non solo per i miei ex capi e colleghi marchettari di…., per molti dei quali chiunque sapesse installare Windows era un hacker, ma anche per il resto del mondo, avendo tenuto un seminario all’ Hackmeeting 2003 , ed essendo stato addirittura fotografato dai media in fiera posa davanti al manifesto.

Questa era per me la prima partecipazione all’Hackmeeting, nata un po’ per caso dopo aver scoperto, a margine della conferenza di Stallman , che quest’anno si teneva a Torino. Non conoscevo praticamente nessuno, a parte un po’ di linuxari torinesi incontrati sul posto e curiosi quanto me; nè ho alcun merito nell’organizzazione dell’evento.

Il meeting si è tenuto presso El Barrio , ossia in una deliziosa scuola elementare di inizio secolo situata di fronte alla Falchera. Immaginate un edificio devastato dall’abbandono, con i muri scrostati; ora immaginate di tirarci dentro un dedalo di cavi di rete viola, piazzare avventurosamente apparecchiature di rete recuperate in vario modo per creare un’unica LAN, e poi permettere alla gente di portare dentro i propri PC e attaccarsi per condividere materiale. All’inventore della legge 626 saranno fischiate le orecchie, ma il risultato era un grosso LAN party con costante scambio di roba buona (immagino che sulla rete ci fosse ogni genere di materiale interessante, ma mi sono vergognato di esibire il mio portatile con Win2K, per cui non posso saperlo).

In parallelo, si sono tenuti un bel po’ di seminari interessanti; i più fortunati nella palestra, ampia, respirabile e dotata di sedie, gli altri pigiati all’inverosimile in un paio di anguste stanzette. Il mio seminario, venerdì pomeriggio, era centrato sul governo di Internet , e oltre a raccontare un po’ di retroscena già apparsi in questo blog , ho lanciato il sasso sull’importanza che il mondo open source italiano partecipi di più alle faccende dell’Internet governance nazionale, in modo da ottenere regole migliori per la nostra rete. I retroscena, però, fanno molto Matrix e sono stati prontamente ripresi dai giornalisti presenti, con tanto di inviti a scrivere un libro (se i giorni avessero 48 ore…).

Sfortunatamente avevo già impegni preesistenti per buona parte del weekend, ma ho fatto in tempo ad assistere, tra le altre cose, all’affollato seminario sulla EUCD tenuto da Alceste di Assoli, alla presentazione dell’interessante progetto DNA per un DNS a radice distribuita, e alla presentazione del Chaos Communications Camp 2003 , che promette di essere il maggior raduno europeo di hacker degli ultimi anni (interessanti anche i commenti del relatore, Tim Pritlove , alla sua visita a Torino). E poi… ho mancato l’assemblea finale, ma arrivederci a Genova nella primavera 2004.

Ma prima di finire, permettetemi di trarre qualche conclusione sul significato che un evento di questo tipo, che deriva originariamente dalle radici anarchiche degli hacker dei centri sociali, ma che ormai raccoglie anche tante persone dei LUG e del mondo professionale che sono arrivate da altri percorsi e altre culture, può avere per il mondo esterno, per quello che, leggendo gli articoli di certa cattiva o interessata stampa, crede che l’ hacker sia un tizio vestito di nero che di giorno sfonda le vetrine delle banche e di sera scrive virus per rovesciare il capitalismo. (E sì, è vero che all’ hackmeeting quasi tutti erano vestiti di nero, ma questo non c’entra!!)

Insomma, cosa significa essere hacker in Italia nel 2003?

Beh, innanzi tutto io non ho il quarantadue in mano, quindi al massimo posso dirvi cosa significa essere hacker per me stamattina. Dunque, se essere hacker significa credere di avere una risposta pronta per tutto, difendere orgogliosamente una purezza di “alternativo”, accumulare conoscenza allo scopo di disprezzare quelli che non ce l’ hanno e di usarla per danneggiare quelli che non la pensano come me, allora non sono un hacker e non lo sarò mai (ma gente così, al meeting, non ne ho conosciuta – al massimo un paio su qualche mailing list).

Ma se significa vivere con curiosità e con dubbio, voler sempre capire cosa c’è dietro alle questioni tecniche così come a quelle economiche e politiche, rifiutare i piatti pronti che mi passano dall’alto per inventare liberamente i miei, e pretendere il seimiliardesimo di potere sul mondo (niente di più, niente di meno) che mi spetta di diritto, allora lo sono, lo sono sempre stato, e sono orgoglioso di esserlo.

E sono anche assolutamente sicuro che solo se un pizzico dell’approccio hacker al mondo contagerà ognuno di noi – anche quelli che il PC lo usano soltanto per Word in ufficio, e a cui Linux pare il nome di un detersivo – sarà possibile conservare, in un’era di comunicazioni globali, la nostra libertà personale.

Vittorio Bertola
Toblòg

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Pubblicato il
24 giu 2003
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