Bufale in Rete, un disegno di legge prevede la galera

Bufale in Rete, un disegno di legge prevede la galera

Proposta la pena minima di 1 anno per chi diffonde notizie false. Due per i responsabili di campagne d'odio. I social network sarebbero equiparati alla stampa
Proposta la pena minima di 1 anno per chi diffonde notizie false. Due per i responsabili di campagne d'odio. I social network sarebbero equiparati alla stampa

Il Senato discuterà la possibilità di introdurre diversi nuovi reati legati alla diffusione di bufale online : la diffamazione sarà considerata aggravata se perpetrata tramite social, al pari della stampa, ed è prevista la galera per la diffusione di voci o notizie false. La lettera aperta della presidente della Camera Laura Boldrini al CEO di Facebook Mark Zuckerberg, dunque, sembra aver anticipato la proposta di legge ora presentata: la carota cui far seguire il bastone per punire i trasgressori.

Su Repubblica, Boldrini – che ha lanciato anche la piattaforma Bastabufale.it – parlava di fake news come di fonte e anticamera di odio e per affrontarle chiedeva la collaborazione di Facebook: una collaborazione di cui finora – a quando pare – l’Italia non ha potuto godere sia in merito ai contenuti da rimuovere (“l’apologia del fascismo da noi è reato, ma i rappresentanti italiani della sua azienda rispondono che non è compreso nelle regole di Facebook e che gli standard della comunità devono poter valere in ogni Paese”), sia rispetto agli altri Paesi, in primis Francia e Germania: se Parigi sembra essere riuscita a trovare accordi con i principali operatori ICT per diverse iniziative da attivare in tempo per limitare il proliferare di bufale in occasione delle prossime presidenziali, e stessa cosa ha fatto Berlino in vista di elezioni politiche, Roma sembra non essere riuscita a farsi ascoltare dagli operatori della Rete.

Forse anche per questo le istituzioni italiane si ritrovano ora a forzare la mano, con una proposta di legge che affronta il problema della diffusione delle cosiddette fake news, con una mannaia che finisce tuttavia per rappresentare uno strumento sproporzionato che rischia di ricomprendere le fattispecie più disparate. Il disegno di legge , prima firmataria Adele Gambaro (ex 5stelle ora Scelta Civica) è intitolato “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica” ed è costituito da pochi articoli ma che spaziano dalle responsabilità degli utenti dei social, agli obblighi dei gestori di blog, fino agli obblighi per gli intermediari.

Presentando la proposta, l’onorevole Gambaro spiega che sono stati in parte ricalcati gli indirizzi espressi dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e che in particolare si snoda intorno all’introduzione di nuove contravvenzioni nel codice penale: innanzitutto si inserisce l’articolo 656-bis col quale si prevede che “chiunque pubblichi o diffonda notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o non veritieri, attraverso social-media o altri siti che non siano espressioni di giornalismo online, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’ammenda fino a euro 5.000”.

Il comma 2 prevede anche che, qualora pubblicando o diffondendo online notizie false, esagerate o tendenziose, si incorra anche nel reato di diffamazione, la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni previsto dall’articolo 185 del codice penale, anche una somma a titolo di riparazione, determinata non solo in relazione alla gravità dell’offesa ma anche in base al grado di diffusione della notizia: una misura che insomma finisce per equiparare, nonostante la giurisprudenza stia andando in senso contrario, diffamazione via social network a quella a mezzo stampa disciplinata dall’articolo 12 della legge n. 47 del 1948 e del relativo aggravante previsto dall’articolo 595, comma 3 del codice penale.

L’articolo 2 introduce nel codice penale due nuovi delitti riguardanti “Diffusione di notizie false che possano destare pubblico allarme o fuorviare settore dell’opinione pubblica o aventi ad oggetto campagne volte a minare il processo democratico”, attraverso due nuovi articoli del codice penale: il 265-bis, che prevede la reclusione non inferiore a dodici mesi e ammenda fino a 5mila euro; e il nuovo articolo 265-ter, che prevede che “chiunque si renda responsabile di campagne d’odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici, è punito con la reclusione non inferiore a due anni e con l’ammenda fino a euro 10.000”. Infine la norma prevede l’ obbligo di registrazione “di ogni spazio online destinato alla diffusione di informazioni presso il pubblico”, in un registro apparentemente parallelo a quello degli organi di stampa, e con i medesimo obblighi come quello di rettifica.

Oltre a rischiare di violare norme costituzionali come la libertà di espressione, e il buon senso, nonché prevedere uno strumento utilizzabile per adottare vere e proprie forme di censura, la proposta di legge ignora anche le disposizioni comunitarie in materia di non responsabilità degli intermediari : all’articolo 7 si prevede infatti “che i gestori dei siti siano tenuti ad effettuare un costante monitoraggio di quanto diffuso sulle proprie piattaforme web, compresi i commenti degli utenti, con particolare riguardo a frasi offensive e a informazioni verso le quali viene manifestata un’attenzione diffusa e improvvisa”. Tale monitoraggio (per cui è concesso loro di affidarsi anche alle segnalazioni degli utenti) deve essere portato avanti anche attraverso una valutazione attiva dell’attendibilità e della veridicità dei contenuti. In caso contrario saranno disposti alle sanzioni di cui all’articolo 65-bis del codice penale.

Naturalmente contro la proposta si sono già mobilitati osservatori e studiosi del settore. L’ammazza-blog, al confronto, sembrava una carezza.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il 16 feb 2017
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