Hacker cinesi di nuovo all'assalto

Hacker cinesi di nuovo all'assalto

Dopo una "pausa", l'assalto degli hacker di stato contro bersagli statunitensi nel pubblico e nel privato sarebbe ripartito. La capacità operativa delle forze asiatiche è tornata quasi al massimo
Dopo una "pausa", l'assalto degli hacker di stato contro bersagli statunitensi nel pubblico e nel privato sarebbe ripartito. La capacità operativa delle forze asiatiche è tornata quasi al massimo

Avevano suscitato clamore e preoccupazione inserendosi nei sistemi di quotidiani, aziende e istituzioni statunitensi e ora, dopo una pausa seguita alle polemiche scatenate dalle loro attività, gli “hacker” cinesi sono tornati più che mai attivi nella loro opera di compromissione, installazione di backdoor e furto di ogni genere di dati e informazioni sensibili.

A comunicare il ritorno alla (quasi) piena operatività degli “attivisti” è ancora una volta Mandiant, la società autrice del rapporto che lo scorso febbraio aveva accusato di hacking/cracking anti-USA l’Unità 61398 dell’esercito cinese.

Secondo Mandiant, l’unità di hacker statali alle dirette dipendenze di Pechino aveva rallentato di molto le proprie attività in seguito alle polemiche scatenate dal succitato rapporto. Ora, lavorando sempre dal suo anonimo edificio di Shanghai, la squadra specializzata è tornata a infettare sistemi , rubare informazioni e buttare giù siti tramite attacchi DDoS raggiungendo il 70 per cento della sua precedente capacità operativa.

Gli obiettivi dell’azione spionistica dell’Unità 61398 non sono ufficialmente noti, ma il New York Times denuncia di essere vittima di un nuovo attacco dopo quelli seguiti alle investigazioni sulle fortune personali dei congiunti di Wen Jiabao, ex-primo ministro della Repubblica Popolare.

Le autorità cinesi sono tradizionalmente refrattarie ad ammettere un qualche tipo di coinvolgimento con la presunta attività cyber-criminale e spionistica dell’Unità 61398, lamentandosi piuttosto di subire attacchi provenienti dall’estero e in particolare dai sistemi statunitensi.

Ma negli USA l’attenzione sulla problematica è più che mai alta, con nuove leggi pensate per imporre controlli stringenti sull’hardware informatico realizzato in Cina e gli incontri politici ai massimi livelli previsti per il prossimo futuro. Occorre convincere la Cina che questo genere di attività virtuale avrà “un costo reale”, dicono dall’amministrazione Obama.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
21 mag 2013
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