UK, quando il netizen vuol essere irresponsabile

UK, quando il netizen vuol essere irresponsabile

Uno studio inglese pone l'accento sui falsi miti della sicurezza sul web. Se vengono frodati, gli utenti Internet del Regno Unito danno la colpa alle banche o agli ISP. Mai a se stessi
Uno studio inglese pone l'accento sui falsi miti della sicurezza sul web. Se vengono frodati, gli utenti Internet del Regno Unito danno la colpa alle banche o agli ISP. Mai a se stessi

Londra – Una buona fetta di netizen britannici ha una consapevolezza dell’utilizzo della rete che non va di pari passo con quella della sicurezza necessaria nel web-surfing; anzi, tale necessità di sicurezza viene considerata come un valore “altro” rispetto alle proprie azioni, ed è una incombenza scaricata sugli istituti bancari o sui fornitori d’accesso . È questo il dato che sconcerta gli esperti e che traspare da uno studio di cui la BBC ha in questi giorni dato notizia .

Condotto dall’istituto Get Safe Online in collaborazione con la stessa BBC, la ricerca fa parte di una campagna governativa tesa a sensibilizzare gli inglesi sulle problematiche crescenti delle frodi telematiche e della riservatezza dei dati sensibili. “Internet è ormai il mondo reale”, sostiene il direttore di GSO Tony Neate, e come “non malediciamo la polizia quando veniamo derubati, dobbiamo prenderci la responsabilità di ciò che facciamo online nella stessa maniera in cui lo facciamo per mettere al sicuro le nostre case e automobili”.

Una richiamo alla responsabilità per quel 52 per cento di utenti (su un campione totale di 2.441 intervistati) che non si sente di avere alcuna responsabilità per i dati scambiati in rete . Un netizen su sei considera la cosa affare degli istituti finanziari, mentre il 13 per cento risale ancora la catena della connessione sino a chiedere all’ISP di accollarsi spese e gestione della sicurezza dei suoi affari telematici.

“Un computer non è proprio come una lavatrice su cui puoi semplicemente premere il bottone ed usarla fino a che non si rompe”, ammonisce ancora Tony Neate, che si appella agli utenti informatici che si collegano quotidianamente affinché si liberino dell’idea secondo cui la tecnologia di interconnessione lavori bene di per sé . “È più come un’automobile – continua la metafora di Neate – e ha bisogno di un po’ di tempo e di sforzo per mantenerla”.

Questo falso senso di alterità da una salutare pratica di sicurezza produce effetti nocivi: secondo lo studio, il 12 per cento degli inglesi è stata vittima di una frode telematica durante lo scorso anno, per una perdita stimata mediamente per ciascuno in 875 sterline, vale a dire poco più di 1.300 euro. Molte delle vittime hanno inoltre vissuto l’esperienza come uno scippo o una rapina vera e propria , con tutte le conseguenze psicologiche del caso.

Vittime predilette del nuovo crimine organizzato su web i siti finanziari e di e-commerce, come il sempre più bersagliato eBay, interesse costante di furto e manomissione di account oltreché di tentativi di phishing . I soliti noti trovano in questo senso alleati inaspettati negli utenti sconsiderati , una percentuale dei quali ancora si connette senza un firewall (il 13 per cento) e non ha un software anti-spyware. Non bastasse insomma l’ingegneria sociale, ci si mette anche l’erroneo concetto di un “PC-lavatrice” a pulsante unico.

Anche in virtù di questa visione poco accorta del mezzo digitale, il 53 per cento degli intervistati chiede che ci sia un test standard per verificare la consapevolezza della sicurezza da parte degli utenti. L’idea non è nuova , ed è valida oggi più che mai: in un mondo sempre più interconnesso, in cui quelle che una volta erano le larghe autostrade telematiche si sono ridotte a ingorghi al casello di una domenica d’agosto, sincerarsi di una minima conoscenza delle pratiche consone da parte del web-utente tipo è oramai una necessità sin banale.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
27 mar 2007
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