Dieci anni di MacIntel

Dieci anni di MacIntel

di D. Galimberti - Prevista come una alternativa sottotraccia ai possibili problemi nel consorzio PowerPC, Apple ha compiuto il salto verso il mondo x86 esattamente dieci anni fa. Il prossimo cambio di paradigma si avvicina?
di D. Galimberti - Prevista come una alternativa sottotraccia ai possibili problemi nel consorzio PowerPC, Apple ha compiuto il salto verso il mondo x86 esattamente dieci anni fa. Il prossimo cambio di paradigma si avvicina?

Quando iniziai a scrivere per Punto Informatico (parliamo dell’anno 2000) mi fu data l’opportunità di parlare delle possibili aperture di Apple verso il mondo x86. Il ritorno di Jobs in Apple, col bagaglio di conoscenze UNIX maturate col progetto NeXT (che sarebbero sfociate nell’imminente arrivo di Mac OS X ), l’accordo con Microsoft che aveva contribuito a fermare la parabola discendente della casa della Mela, e alcune aperture di Apple verso gli standard del mondo PC (uno su tutti, l’adozione della USB come unica porta di comunicazione sugli iMac lanciati nell’estate del ’98), avevano dato il via alle indiscrezioni che volevano Apple in procinto di spingersi in qualche modo verso il mondo x86.

MacIntel

Mai profezia fu più vera: anche se avremmo dovuto attendere l’estate del 2005 per l’ annuncio ufficiale , Apple rivelò che Mac OS X (grazie alla sua natura UNIX) fu portato avanti fin da subito in gran segreto anche nelle versione per processori Intel. Il motivo è presto detto: Apple non poteva rischiare di fermarsi a causa delle lotte interne al consorzio PowerPC, ed aveva sempre lavorato in gran segreto per essere pronta ad ogni evenienza. Dopotutto, nonostante lo scetticismo sulle voci che circolavano nel 2000, in uno dei tanti articoli di approfondimento sul tema io stesso scrissi che “il mio parere è che Apple voglia tenersi pronta per ogni possibile evenienza; qualora Motorola e IBM non fossero in grado di assicurare processori al passo coi tempi, Apple potrebbe migrare verso altri lidi senza perdere tempo”.

Con circa sei mesi di anticipo rispetto a quanto annunciato da Jobs, il primo MacIntel (se si escludono le macchine test per gli sviluppatori) fu presentato esattamente 10 anni fa in occasione del MacWorld Expo di San Francisco, e fu ancora una volta l’iMac a fare da apripista, seguito a ruota dai MacBook Pro (presentati nel corso dello stesso evento ma resi disponibili solo il mese successivo). Ma partiamo dall’inizio e ripercorriamo la strada che ha portato Apple verso questa scelta.

Come ricordato in altre occasioni , Apple non si è mai fatta troppi problemi a mettere in atto cambiamenti drastici sulle proprie piattaforme, scandendo anche tabelle di marcia ben precise atte a “forzare” l’adozione delle nuove soluzioni a scapito dei sistemi più vecchi, atteggiamento che ha i suoi pro e i suoi contro ma nel complesso, a mio modo di vedere, vede prevalere gli aspetti positivi. Parlando di hardware, e restando sempre in ambito di processori, chi utilizza Mac da lunga data ricorderà sicuramente il passaggio dai processori Motorola della serie 68k , ai PowerPC nati dall’alleanza tra Apple, IBM e Motorola. Il PowerPC era un processore RISC che nasceva sulle basi dell’architettura POWER sviluppata IBM agli inizi degli anni ’90; di fatto il PowerPC era una versione “semplificata” dei processori POWER e, grazie all’alleanza con Motorola ed Apple, nacque sotto buoni auspici, tant’è che per esso vennero realizzate anche versioni di Windows NT, Sun-Solaris, AIX, e OS/2.
Grazie alla loro architettura i processori PowerPC potevano contare su prestazioni decisamente superiori rispetto alla concorrenza x86, ma la scarsità di software per le versioni PPC dei vari sistemi sopra citati, e le relative incompatibilità con il passato, ridimensionarono i progetti dell’alleanza a tre. Dopo qualche anno i PowerPC erano utilizzati solo dai Macintosh, Motorola si fermò allo sviluppo dei processori G3 e G4, mentre IBM non proseguì lo sviluppo dei G5 nella direzione che interessava ad Apple: basti ricordare i Power Mac dual G5 raffreddati a liquido per via dell’elevato calore sviluppato dai processori, o il fatto che non fu mai realizzato un processore G5 in grado di entrare in un portatile, settore a cui la casa della Mela aveva invece già dimostrato (giustamente) di voler puntare.

Nei primi anni del secondo millennio, l’interesse di Apple verso il mondo x86 era quindi più che giustificato, nonostante i numerosi dubbi che un simile passaggio avrebbe comportato: tra l’altro Apple stava già traghettando gli utenti dal Mac OS classico a Mac OS X, con tutte le problematiche del caso e le questioni di compatibilità tamponate grazie alle librerie Carbon . Probabilmente sarebbe stata una mossa controproducente cambiare radicalmente anche l’hardware in un momento tanto delicato (dopo aver attraversato il suo periodo più buio, Apple stava finalmente rialzando la testa) e possiamo comunque immaginare che Apple credesse ancora nella possibilità di proseguire lo sviluppo di hardware proprietario sul quale adattare al meglio il proprio sistema operativo, soluzione tuttora adottata per il mondo iOS grazie all’acquisizione di PA Semi … Ma questa è storia più recente.

Arrivati al punto in cui era evidente che i processori PowerPC non avrebbero dato un futuro ad Apple, la casa della Mela fu costretta ad operare la scelta del cambio di architettura, e nel corso della WWDC del 2005 annunciò al mondo l’accordo con Intel. Perché Intel e non AMD? Da un lato, vista l’esperienza pregressa, c’era probabilmente il desiderio di affidarsi ad un partner che (almeno sulla carta) potesse avere un futuro più affidabile; dall’altro c’era una tabella di marcia che vedeva Intel avvantaggiata nel settore dei processori per portatili, settore in cui Apple prevedeva (giustamente) i maggiori sviluppi. A testimonianza del fatto che la migrazione fosse stata preparata con le dovute attenzioni, Apple aveva già predisposto una nuova versione di Xcode in grado di compilare codice universale, nonché un emulatore in grado di eseguire sulle macchine Intel anche il software sviluppato per macchine PowerPC, una sorta di ricompilatore dinamico chiamato Rosetta che avrebbe permesso agli utenti delle nuove macchine di continuare ad utilizzare il vecchio software come se nulla fosse, o quasi…

I primi Mac ad essere equipaggiati con processori x86 sono stati, come accennato sopra, l’iMac e il MacBook Pro da 15″ (che prese il posto del PowerBook G4 15″): un desktop consumer e un portatile professionale, entrambi con processore intel Core Duo. Come primo impatto poteva sembrare una scelta inadeguata: perché l’iMac, che pure era dotato di processore G5? E perché il MacBook Pro, macchina professionale che non può permettersi di subire gli eventuali inconvenienti di una tale migrazione? In realtà la scelta fu azzeccata sotto molti punti di vista: il settore dei portatili professionali, ancora fermo ai “vecchi” PPC-G4, era quello che maggiormente necessitava di un incremento di prestazioni, e il fatto di iniziare la migrazione con una macchina professionale serviva anche per dare maggior stimolo agli sviluppatori più importanti, per far sì che procedessero speditamente nella revisione del software per la nuova architettura. Stando alle dichiarazioni di Apple, le nuove macchine erano in grado di assicurare prestazioni da due a quattro volte superiori rispetto alle precedenti, miglioramento dovuto non solo al processore ma anche ad un nuovo bus più veloce e nuovi moduli di memoria. Per quanto riguardava l’iMac, se si voleva offrire fin da subito un’alternativa desktop senza intaccare completamente il settore professionale, l’unica scelta era quella dell’all-in-one della Mela, macchina che per certi versi aveva sempre accompagnato i maggiori cambiamenti di Apple.

Ovviamente un cambiamento di questo tipo, per quanto preparato con largo anticipo e con le dovute precauzioni, non poteva essere completamente esente da problemi: Rosetta, grazie anche alle maggiori prestazioni dell’hardware, svolgeva più che egregiamente il proprio compito ma nulla poteva con quelle istruzioni che richiedevano un’interazione a basso livello col sistema operativo, come le estensioni del kernel (le cosiddette kext ) o le applicazioni Java; inoltre, per quanto la ricompilazione dinamica del codice fosse efficiente, per i software più pesanti era indispensabile che gli sviluppatori rilasciassero una versione Universal Binary , cioè una nuova versione dell’applicazione che contenesse già il codice x86 e potesse fare a meno di Rosetta. Nonostante ciò, per la maggior parte degli utenti la transizione avvenne senza grossi intoppi, e Rosetta accompagnò gli utenti Apple nelle versioni 10.4 (Tiger), 10.5 (Leopard) e 10.6 (Snow Leopard) di Mac OS X, prima di essere dismessa nel 2011 con l’arrivo della release 10.7, Lion .

Dopo il primo periodo di consuete ed inevitabili lamentele , Apple ha proseguito spedita per la sua strada, completando la transizione verso l’architettura x86 in soli sette mesi , con largo anticipo rispetto alla tabella di marcia iniziale annunciata l’anno precedente. Le prime macchine con processori Intel sarebbero dovute arrivare proprio nell’estate del 2006, ma fu in quel periodo che il cambio di architettura venne invece concluso: dopo i due Mac presentati a gennaio fu la volta del Mac Mini, il MacBook Pro da 17″, il MacBook che sostituì gli iBook, ed infine il PowerMac. Non si trattò dell’unico cambio di idee rispetto ai progetti iniziali: Apple disse che non avrebbe fornito assistenza per l’installazione di Windows sulle proprie macchine, ma sappiamo tutti che dopo pochi mesi , un po’ a sorpresa è arrivato Bootcamp , l’utility che prepara il Mac per l’installazione di Windows creando un’apposita partizione del disco e fornendo tutti i driver necessari per l’hardware Apple.

Ma se l’installazione di Windows sui Mac fu in qualche modo “benedetta” da Cupertino, non si poteva dire altrettanto del contrario: Apple ha sempre fatto il possibile per evitare che Mac OS X (nella sua incarnazione x86) potesse installarsi sui comuni PC, e una delle prima mosse fu quella di dotare le proprie macchine Intel di un firmware basato su tecnologia EFI , anziché il comune BIOS utilizzato su tutti gli altri PC. Ovviamente questa precauzione iniziale non bastò per fermare gli “smanettoni”, che ancor prima del lancio dei primi MacIntel, riuscirono a far girare le versioni beta di Mac OS X (x86) su hardware non-Apple. Qualcuno si spinse ben oltre, realizzando e commercializzando dei veri e propri cloni, cosa che fece infuriare non poco Cupertino: la più famosa società che tentò il successo percorrendo questa strada sul filo della legalità fu la Psystar di Robert Pedraza, che dopo numerose cause giudiziali fu costretta a dichiarare fallimento nel 2009 (e nel 2012 si vide respingere anche l’ultima possibilità di appello dalla Corte Suprema americana). Oggigiorno l’argomento dei cloni Macintosh (più comunemente denominati hackintosh) sembra avere meno risalto, ma in rete si trovano comunità di appassionati “smanettoni” che si dedicano a realizzare configurazioni hardware che siano il più possibile compatibili con l’ecosistema Apple, e immagini modificate di OS X per installare il sistema della Mela su questo hardware.

Oggi, a dieci anni di distanza dai primi MacIntel, le macchine PowerPC sono solo un ricordo. Apple ne ha cessato il supporto già dall’agosto del 2009, con l’arrivo di Snow Leopard (che comunque, come accennato sopra, includeva ancora la possibilità di installare Rosetta) ottimizzando il codice per l’architettura x86 a 64 bit. Dopo questo primo giro di nuove macchine, ci sono poi state molte altre novità, come il MacBook Air , i display Retina, i nuovi iMac ancora più sottili (tanto da sembrare un monitor) e altro ancora. Se dobbiamo fare un bilancio di questa scelta, non possiamo far finta di non notare che le vendite di Mac sono sempre cresciute anche in questi ultimi anni di crisi del mondo dei Personal Computer: non voglio dire che questo andamento positivo sia merito del cambio di architettura (anche se molti sono pronti a scommettere che sia stata proprio la possibilità di installare Windows sui MacIntel a dare un impulso alle vendite) ma sicuramente possiamo dire che il tanto temuto abbandono dei processori PowerPC non ha provocato alcun disastro, anzi, la continua disponibilità di nuovi processori ha permesso ad Apple di occuparsi solo marginalmente della questione CPU per meglio dedicarsi allo sviluppo di macchine sempre più in linea con le proprie idee (in realtà Apple ha sempre collaborato attivamente con Intel, ma possiamo immaginare che questa collaborazione sia tutt’altra cosa rispetto ai problemi affrontati con Motorola e IBM a seguito dei ritardi nello sviluppo dei processori PPC).

Se vogliamo dare uno sguardo al futuro, visti gli sforzi di Apple nella progettazione di CPU proprietarie per i dispositivi iOS, e visti i livelli di prestazione raggiunti con l’ultimo nato, l’ Apple A9X che equipaggia l’ iPad Pro , l’ipotesi che Apple sia in procinto di fare un ulteriore cambio di architettura non è poi così remota… E il fatto che un paio di anni fa ci siano già state indiscrezioni riguardo dei test di MacBook con processori ARM sembra un deja-vu di quanto successo prima dell’annuncio del passaggio ad Intel. Per scoprirlo non resta che stare a guardare quello che succederà nei prossimi anni.

Domenico Galimberti
blog puce72

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Pubblicato il 11 gen 2016
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