Huawei non spia per conto di nessuno

Huawei non spia per conto di nessuno

Nessuna backdoor, nessuna soffiata: un documento tecnico per invocare l'adozione di standard globali di sicurezza, una rassicurazione importante dalla Cina, in epoca di Datagate
Nessuna backdoor, nessuna soffiata: un documento tecnico per invocare l'adozione di standard globali di sicurezza, una rassicurazione importante dalla Cina, in epoca di Datagate

Non le è mai stato chiesto di mostrare a chicchessia la porta di servizio per accedere alle sue tecnologie e alle comunicazione scambiate con la mediazione dei suoi dispositivi, non ha mai offerto collaborazione a governi sempre assetati di informazioni riservate: Huawei lo afferma con decisione, e invita gli altri attori dell’IT a costruire degli standard comuni di sicurezza, che sappiano prevenire quello che l’etica della riservatezza aziendale non sa curare.

“Non abbiamo mai ricevuto alcuna istruzione o richiesta da nessun governo o da qualsivoglia agenzia che ci invitasse a cambiare i nostri comportamenti, le nostre policy, il nostro hardware o il nostro software, le pratiche di assunzione o altro”: sono parole del vice presidente del colosso cinese, contenute nel documento di Huawei dedicato alla cybersicurezza. Un documento che, approfondendo nella pratica quelle che sono le misure adottate dall’azienda per tutelare i propri utenti, suona come una presa di posizione forte, in una contingenza in cui l’attrito tra la sfiducia manifestata nei confronti di Huawei da potenziali clienti istituzionali stride con le pratiche di intelligence emerse con il Datagate .

Nessuna richiesta di aprire backdoor o di consegnare informazioni , da parte di nessun governo, a differenza di quanto è avvenuto per numerosi attori dell’IT: a partire da questo assunto, e per dimostrarlo appieno, Huawei si fa promotore di standard internazionali condivisi da aziende e da autorità, perché, come ha spiegato al Wall Street Journal John Suffolk, a capo della divisione sicurezza dell’azienda, “non c’è nessun vantaggio nel fatto che Huawei si migliori in materia di sicurezza se nessun altro nell’ecosistema in cui opera si muova nello stesso senso”. Si tratterebbe di una iniziativa volta a responsabilizzare gli stessi governi , fra i principali acquirenti di tecnologia, che alla sicurezza sembrano badare ancora assai poco.

In questo atteggiamento delle amministrazioni pubbliche, però, ha spesso fatto eccezione Huawei: esclusa dai contratti per la realizzazione di infrastrutture di prima necessità negli Stati Uniti e in Australia , al centro di indagini , basate su sospetti non fondati e volte a valutare quanto Huawei potesse attentare alla sicurezza nazionale, l’azienda cinese è spesso stata vittima di accuse e provvedimenti che hanno contribuito a comprimerne l’espansione . Il tutto, nonostante la piena disponibilità di Huawei a garantire trasparenza.

Ma la situazione appare ora ribaltata : dopo lo scoperchiamento del vaso di Pandora del Datagate, il fatto che a sollevare la necessità di creare degli standard di sicurezza sia un’azienda ritenuta sospetta proprio dalle autorità in cui i cittadini non ripongono più fiducia potrebbe sparigliare gli equilibri. L’Australia, che da tempo ha escluso Huawei dall’infrastruttura nazionale della rete a banda larga, sembrerebbe pronta a rivedere le proprie politiche, a seguito di una attenta analisi tecnica degli apparati messi a disposizione dall’azienda cinese.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 21 ott 2013
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