Monopolio ricerca: DoJ festeggia, ma chi ha perso?

Monopolio ricerca: DoJ festeggia, ma chi ha perso?

Google non deve vendere Chrome e annullare il contratto con Apple, ma il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti festeggia ugualmente la vittoria.
Monopolio ricerca: DoJ festeggia, ma chi ha perso?
Google non deve vendere Chrome e annullare il contratto con Apple, ma il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti festeggia ugualmente la vittoria.

Il giudice Amit Mehta ha deciso che Google non deve vendere Chrome per ripristinare la concorrenza nel mercato dei motori di ricerca. Può inoltre mantenere l’accordo miliardario con Apple. Nonostante ciò, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti afferma di aver ottenuto una “vittoria significativa”. Sembra quindi che non ci siano perdenti. Questo è solo il primo atto in quanto Google presenterà appello.

Google è monopolista, ma è meglio così

Al termine del processo di primo grado, Google è stata considerata monopolista nel mercato dei motori di ricerca. Secondo il Dipartimento di Giustizia, l’azienda di Mountain View doveva vendere Chrome (o Android in alternativa) e annullare i contratti che prevedono pagamenti ad Apple, Mozilla, Samsung e altre aziende per impostare Search come motore di ricerca predefinito nei rispettivi browser.

L’azienda di Mountain View aveva proposto rimedi alternativi. In leggero ritardo rispetto alla data prevista, il giudice Amit Mehta ha pubblicato l’elenco dei rimedi (PDF) che Google dovrà implementare per ripristinare la concorrenza.

Leggendo le 230 pagine della sentenza sembra chiara una vittoria quasi netta per Google, in quanto il giudice ha negato i due rimedi strutturali, ovvero la vendita di Chrome e Android. Come evidenziato durante il processo dal CEO Sundar Pichai e altri dirigenti, il browser è strettamente integrato con altri servizi e l’infrastruttura di Google. Un’altra azienda non potrebbe offrire la stessa qualità e ciò danneggerebbe i consumatori (come sottolineato da Google).

Il giudice ha respinto anche la richiesta di impedire i pagamenti per impostare Search come motore di ricerca predefinito, evidenziando i possibili rischi. Mozilla avrebbe probabilmente interrotto lo sviluppo di Firefox. Google non deve inoltre implementare schermate di scelta per browser e motore di ricerca (come avviene in Europa).

Il Dipartimento di Giustizia ha comunque festeggiato la sentenza perché sono stati accolti tre rimedi. Google non può sottoscrivere accordi esclusivi che impongono l’installazione di Search, Chrome, Google Assistant e Gemini per ricevere la licenza di Google Play o altre app e pagamenti di revenue sharing.

Google deve inoltre fornire a “concorrenti qualificati” alcuni dati relativi all’indice di ricerca e alle interazioni degli utenti. Deve infine fornire servizi di search text ads syndication (advertising contestuale all’esterno del motore di ricerca). Quest’ultimo rimedio deve essere rispettato per cinque anni (gli altri per sei anni).

L’azienda californiana presenterà appello e quasi certamente chiederà la sospensione dell’applicazione dei rimedi, in quanto ha evidenziato le conseguenze negative per la privacy degli utenti. Anche il Dipartimento di Giustizia potrebbe impugnare la sentenza. Il caso rischia quindi di arrivare alla Corte Suprema e durare fino al 2028.

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Pubblicato il
3 set 2025
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