Revenge porn, quando Facebook non può identificare

Revenge porn, quando Facebook non può identificare

Gli account rimossi sulla base delle policy vengono cancellati insieme a tutti i relativi dettagli: ecco perché il social network non potrà assistere le autorità nelle indagini. Ma il tribunale che si sta occupando del caso non è convinto
Gli account rimossi sulla base delle policy vengono cancellati insieme a tutti i relativi dettagli: ecco perché il social network non potrà assistere le autorità nelle indagini. Ma il tribunale che si sta occupando del caso non è convinto

Facebook si è dichiarata impossibilitata a collaborare con le autorità nell’identificare l’origine di un video pornografico, condiviso in rete senza che la persona ritratta ne fosse consapevole: il social network, sulla base delle proprie policy, ha dimenticato quello che la Rete continua a perpetuare.

Il caso si sta discutendo presso un tribunale di Amsterdam: ad avere sporto denuncia è una giovane cittadina ritratta in un video girato nel 2011, quando era minorenne, e pubblicato sul social network nel mese di gennaio di quest’anno. Il video in oggetto, non prima di essere stato esportato nel resto del mondo connesso, era stato rimosso da Facebook in seguito ad una segnalazione: caricato da un utente fake , trattandosi tecnicamente di un video pedopornografico e ritraendo nudità che il social network ha sempre guardato con sospetto, anche prima dell’introduzione di linee guida esplicitamente mirate a scoraggiare il revenge porn, il contenuto non poteva che risultare in violazione delle policy, e quindi passibile di cancellazione, in parallelo alla chiusura dell’account responsabile.

Il tribunale ha ora chiesto a Facebook di collaborare, e di consegnare i dati relativi alla permanenza del video sul social network e relativi all’account responsabile del caricamento fra cui il nome, l’indirizzo email, il numero di telefono, i dettagli anagrafici, l’indirizzo IP con cui il profilo ha operato.

Il social network, come noto , conserva dati e log per 90 giorni dopo aver reso inaccessibili i contenuti: trattandosi di una questione delicata come un caso di revenge porn che coinvolge minorenni, Facebook si guarda bene dal lamentare l’ingerenza delle autorità e si limita a dichiarare l’impossibilità ad accogliere le richieste del tribunale. “L’account responsabile è stato cancellato prima che ricevessimo qualsiasi richiesta riguardo ai dati dell’utente – spiega Facebook – e tutte le informazioni correlate all’account sono state rimosse dai nostri server come previsto dalle nostre condizioni d’uso e dalla legge”.

La corte dei Paesi Bassi, forse memore di certe pratiche di conservazione adottate da Facebook in passato, non si è mostrata soddisfatta della risposta fornita dal social network: “un soggetto indipendente – ha comunicato il tribunale – deve essere coinvolto per investigare e scoprire se Facebook sia o meno in possesso dei dettagli dell’account in questione”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
6 lug 2015
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