La Corte Suprema degli Stati Uniti non interverrà per difendere l’operato di Google, che con il servizio Street View ha accidentalmente rastrellato dati personali non cifrati scambiati sulle reti WiFi aperte mappate dalla strumentazioni a bordo delle automobili sguinzagliate per mezzo mondo. Google dovrà vedersela, insieme ai suoi legali, con i cittadini che la giustizia statunitense ha già riconosciuto come potenziali vittime delle intercettazioni operate dalla Grande G.
Google si era rivolta alla Corte Suprema nel mese di aprile, proprio per cercare l’annullamento della decisione della corte d’appello di San Francisco, che dava il via libera alla class action portata avanti da un nugolo di cittadini statunitensi contro l’ accumulazione di frammenti di dati personali veicolati dalle reti wireless non cifrate che le automobili hanno incontrato lungo i loro percorsi, tra il 2008 e il 2010. La Grande G, sollecitando l’intervento dei giudici della Corte Suprema, aveva ricordato di aver interrotto tempestivamente la raccolta di questi dati e a aveva assicurato di non averli mai impiegati per alcun tipo di attività. Al tempo stesso, sottolineava di essere vittima di un errore di interpretazione del quadro legislativo statunitense: Google, a differenza dei giudici che l’hanno ritenuta responsabile di atti di intercettazione illegale, sosteneva che le reti WiFi non cifrate fossero da considerare al pari delle ordinarie comunicazioni radio AM/FM, in quanto liberamente “accessibili al pubblico”.
La Corte Suprema ha però ora rifiutato di riesaminare il caso: Google ha espresso la propria delusione, e la questione ritornerà al tribunale di grado inferiore, che si occuperà di dirimere il caso che gli attori della class action si augurano culmini con un risarcimento a loro favore.
Google, sotto indagine in diversi paesi del mondo per le pratiche adottate nel contesto della mappatura di Street View, assolta in Germania , punita in Corea , Belgio e Francia e sanzionata di recente anche in Italia per aver violato la privacy dei cittadini dello Stivale, era già stata multata dalla Federal Communications Commission statunitense per una somma di 25mila dollari, per aver ostacolato le indagini in corso, e aveva accettato di pagare 7 milioni di dollari a 38 stati degli USA per riparare alle violazioni della privacy operate con il rastrellamento di dati che fluivano attraverso le reti WiFi aperte.
Gaia Bottà